Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

L’orgoglio tra permalosità e difesa della dignità personale

presDiscutendo con amici e colleghi mi è stata chiesta una riflessione in tema.

Innanzitutto, secondo la dottrina classica, l’orgoglio è un amore disordinato ed eccessivo per il proprio “io”.

Ci sono due tipi di orgoglio, studiati fin dai tempi del pensiero greco latino e da Padri della chiesa come Agostino (cf. De Genesi ad litteram) e Gregorio Magno (cf. Moralia in Job e Dialoghi). Ne parlano anche Giovanni Climaco e Giovanni Cassiano in alcune loro rispettive opere (cf. La scala del paradiso, Le istituzioni cenobitiche).

Il primo tipo è legato alla superbia, caput vitiorum, alla presunzione e alla permalosità: chi ne è afflitto è convinto di essere sempre nel giusto e non sopporta di essere contraddetto, pena lo scontro o l’eliminazione dell’avventuroso competitore, dialettico od operativo che sia.

Il secondo tipo di orgoglio è invece un sentimento che contribuisce a preservare la dignità personale, ed è, non solo legittimo, ma anche doveroso e necessario alla tutela della persona, in quanto valore indisponibile. Un orgoglio naturalmente moderato è utile per il rispetto che ognuno deve a se stesso e per il rispetto che gli devono gli altri in quanto persona. Ognuno è uguale in dignità a qualsiasi altro, sia esso Adriano imperatore od Obama, oppure uno schiavo trace o un bimbo sudanese.

Tornando al primo tipo di orgoglio, esso quasi si confonde, come dicevamo, alla superbia ed è fomite primario dell’invidia, orrendo e malevolo sentimento di ostilità distruttiva. Siamo già nell’area dei vizi spirituali peggiori, capaci di far morire l’anima. L’orgoglioso è un superbo che non tollera altri si avvicinino a lui, né per potere, né per capacità e, se può, cerca di eliminarli. A me è capitata qualche volta questa esperienza e mi sono tolto di mezzo dalla tenzone prima di farmi fare del male.

Una specie pericolosa di orgoglio è quella denominata “spirituale”, e riguarda specialmente coloro che ritengono di “avere ragione” sempre, quasi “messianicamente”, specialmente sulle tematiche di principio, sulle ragioni etiche e socio-politiche. Si pensi alle mentalità dittatoriali o dei rivoluzionari di professione. Costoro, sia pure per fini diversi, sono accomunati da un senso di assolutezza e di sicumera nelle proprie scelte teoriche, ma soprattutto pratiche ed operative. Quando Mao Ze Dong affermava che per educarne cento bisognava colpirne uno, aveva in mente anche di poter ammazzare questo “uno”, decidendo lui, indefettibilmente, della vita e della morte di quella persona, perché essa “aveva radicalmente torto”. Non parliamo poi di dittatori criminali come Pol Pot o lo stesso caporale Adolfo, i quali non nutrivano (probabilmente) il minimo dubbio sul da farsi, se si trattava di sopprimere vite umane, anche in quantità industriali.

Ricordo che quando ci fu l’attentato dei GAP di via Rasella a Roma nel ’44, che uccise 33 poliziotti del Battaglione Bozen della Wehrmacht, l’input pervenuto al generale Mackensen, superiore del colonnello Kappler, dal Quartier generale hitleriano di Rastenburg ,  era di fucilare cinquanta italiani per ogni tedesco ucciso in quell’attentato. Poi si optò per una soluzione “più clemente” (!!!) con dieci fucilazioni di italiani per ogni tedesco, più cinque, ché si erano sbagliati i conti. Uno più uno meno…

Anche gli attentati terroristici, siano essi ad personam, come nel caso del terrorismo politico vissuto in Italia nei decenni ’70/ 2000, siano di raggruppamenti anonimi (Bologna ’80) o quasi,  per target magari (Bata-Clan e Orlando, ad esempio), l’atto di uccidere è frutto di una concezione di sé e della vita umana propria e altrui altamente superbo, oltre che arrogante, presuntuoso e perfino stupido.

Il fatto che le persone umane siano reificate a meri simboli da abbattere, quasi per operare “pedagogicamente”, si fa per dire, verso moltitudini, intere nazioni o culture, non significa altro che è venuto meno l’abc della ragione umana, dell’equilibrio mentale, e dei principi morali primigeni.

L’orgoglio di superbia è anche intriso di permalosità. Il soggetto orgoglioso e superbo è permaloso e rancoroso, e quindi anche, spesso, vendicativo. Ma la sua non è la vendetta per un grave torto o delitto subìto, come nella tradizione etico-giuridica mesopotamica e biblica, dove l’occhio per occhio, il dente per dente, la vita per vita, aveva la serietà e la gravità di un atto giuridicamente “lecito”, no, qui si tratta di qualcosa di più futile, terra terra, quotidiano, ma non perciò meno disturbante per il permaloso superbo orgoglioso.

Prima di questa volta ho scritto ancora sull’argomento, interrogandomi circa la presenza o meno di tali vizi in me medesimo. Ebbene: un po’ orgoglioso sì, lo sono, un tempo anche permaloso, ma non mai rancoroso e vendicativo. Pieno di difetti, e con qualche qualità, se non altro quella di considerare sempre il limite, la finitezza, lo stesso essere-qui-a-questo-mondo, che è la mia struttura esistenziale ed ontologica, come quella di ogni altro essere umano.

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