Il mare d’inverno
“Il mare d’inverno/ è solo un film in bianco e nero/ visto alla t.v./ e verso l’interno/ qualche nuvola/ dal cielo/ che si butta giù/ sabbia bagnata/ una lettera/ che il vento/ sta portando via/ punti invisibili/ rincorsi dai cani/ stanche parabole/ di vecchi gabbiani/ e io che rimango/ qui sola/ a cercare un caffè.// Il mare d’inverno/ è un concetto che il pensiero/ non considera/ è poco moderno/ è qualcosa che nessuno/ mai desidera/ alberghi chiusi/ manifesti già sbiaditi/ di pubblicità/ macchine tracciano/ solchi su strade/ dove la pioggia/ d’estate non cade/ e io che non riesco nemmeno/ a parlare con me./ Mare mare/ qui non viene mai nessuno/ a trascinarmi via/ mare mare/ qui non viene mai nessuno/ a farci compagnia/ mare mare/ non ti posso guardare così/ perché/ questo vento/ agita anche me/ questo vento/ agita anche me.// Passerà il freddo/ e la spiaggia lentamente/ si colorerà/ la radio e i giornali/ e una musica/ banale si diffonderà/ nuove avventure/ discoteche illuminate/ piene di bugie/ ma verso sera/ uno strano concerto/ e un ombrellone/ che rimane aperto/ mi tuffo perplesso/ e momenti/ vissuti di già/./ Mare mare/ qui non viene mai nessuno/ a trascinarmi via,/ mare mare/ qui non viene mai nessuno/ a farci compagnia,/ mare mare/ non ti posso guardare così/ perché/ questo vento/ agita anche me/ questo vento/ agita anche me,/ mare mare/ qui non viene mai nessuno/ a trascinarmi via,/ mare mare/ qui non viene mai nessuno/ a farci compagnia,/ mare mare/ non ti posso guardare così,/ perché/ questo vento/ agita anche me/ questo vento/ agita anche me.”
Testo di Enrico Ruggeri e canto della sorella Bertè giovane, quella ancora viva. Penso che lo struggimento di questo brano sia non inferiore a un Lieder schubertiano o una lirica di Novalis. Lo ascolto nella piena estate che esplode ogni giorno, a qualche ora, in questo tripudio temporalesco oramai tropicale.
Il mare d’inverno ce l’abbiamo dentro, come mare e come inverno, e a volte ci può piacere, nella sua malinconia, nella sua solitudine. Abbiamo bisogno del mare d’inverno e della montagna innevata e silente, dove passo dopo passo inoltrarci. L’immenso abita il nostro cuore e il fondo dell’anima, e ci permette di cercare quello che le luci e i rumori della ribalta ci nascondono nel quotidiano.
Il fondo dell’anima è un Mare oceano, è l’abisso dove si può trovare tutto quello che manca in superficie. Oggi la superficie dilaga, e la profondità latita: è per questo che bisogna abitare il mare d’inverno, lasciandolo perdere, forse, talora, nell’estate assolata piena di rumore.
Abbiamo bisogno della brezza leggera che soffia inaspettata alla fine dell’afa, e ci regala la gioia inattesa. Abbiamo bisogno della parola inaspettata e gentile, che viene dall’altro, a volte non conosciuto.
Ci piace, però, anche la collina e la terra di mezzo, tra questa e la marina che balugina in mezzo alle fronde della pineta, nel meriggiare montaliano.
Ci piace la scogliera e la falesia bianchissima a picco sul mare, e il colore del sommacco rossastro sul monte roccioso del Carso. Cr come etimo sanscrito della pietra, che vive nei nomi di Carnia, Carniola, Carinzia, Caravanke, monte Nero, nel Krn, di là dell’Isonzo… Carso, etimo lentissimo, Car-so, che nel dirlo rallenti la sillabazione, fin quasi a fermarti, come per un indugio di attesa, che la lenta sera d’estate, estenuata, richiede.
Oh, il vento d’autunno rabbrividente della boscaglia oltre il pianoro petroso, che passa di traverso i paesini di sasso del confine, e preannunzia l’inverno, e i racconti di caccia delle genti a cavallo nelle contrade, qui da noi. L’ultimo suono del corno rimbomba nelle valli e verso remoti tratturi di transumanza.
Oh, il buio notturno che scende dai tetti embricati sui vicoli stretti del borgo montano, e un vento più fresco preannunzia l’inverno.
Oh, i sogni realissimi, ristoro della mente che si aggiusta nel sonno.
Oh, il mare d’inverno è nel cuore dell’uomo e nel senso misterico e silente del tempo.
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