Le infinite strade
Una panchina sotto i tigli incontro, venendo da infinite strade. Il vento è brezza leggera e i viandanti radi, biciclette solitarie e automobili ogni tanto. Cieli altissimi si sfrangiano verso l’orizzonte, a ogni confine. Vengo da infinite strade e vado verso altre contrade. Svolto a destra e a sinistra scomparendo alla vista di chiunque mi intraveda.
Infinite strade mi accolgono, nastri d’asfalto infuocati dall’estate, interpoderali silenziose e immerse nel contrasto verdazzurro del tempo di tarda primavera, viottoli che si inerpicano su scoscesi crinali di montagna, autostrade a perdita d’occhio da bruciare nel vento della corsa, verso mete lontane.
Ricordi di presenze condivise sulla panchina, di un tempo. Voci. Non mai spente, ma oramai ridotte alla loro eco, nell’anima della memoria. Perché la memoria ha un’anima, un senso che si ricostruisce ogni volta che la richiami. il pensiero libero si muove lungo itinerari sempre nuovi e sorprendenti. Incontro persone che si chiedono la ragione del dolore, dell’invecchiamento, della perdita, del declino: rispondo che non vi sono ragioni esplicative a tutte le domande, ma che le cose stanno anche così, e basta. E basta un nulla per cambiare una vita, magari per qualche tempo: una protesi non bene inserita, un’arteriola lasciata aperta, ché il sangue fluisca fuori nello spazio esterno ad impoverire l’emoglobina del paziente, che può anche morirne. Basta poco, anche se poi l’istinto di tener duro la vita e il movimento, vince. La vita vince che quando finisce, poiché la morte è solo il “nome del transito”, essendo priva di essenza in quanto tale.
Ma forse vi sono anche delle ragioni, nelle infinite strade intrise di dolore e di gioia, proprio in forza dell’alternanza tra gli stati psico-morali, che contribuiscono a formare la nostra capacità di sopportazione, la nostra pazienza, costitutiva del coraggio per affrontare la paura.
E anche se gioia e dolore fossero solo la manifestazione della natura che fa il suo corso anafettivo e crudamente insensibile all’umana valutazione, non importa, ché anche così la coscienza riflessa degli umani sa dare nomi e cognomi alle cose, materiali e spirituali, e alle loro connessioni, come càpita ogni giorno.
Gli ottantaquattro miliardi di neuroni di cui siamo dotati, con le non quantificabili sinapsi di collegamento, sono in grado di assisterci quasi in ogni momento, per comprendere ciò che accade, oppure per accettare di non riuscire a capire del tutto, ma avviando una riflessione, una ricerca, un approfondimento dei fatti che ci sfuggono.
Le infinite strade sono anche quelle della scelta morale, delle scelte politiche, dell’accoglimento o meno dell’altro: ogni momento pone una scelta, un giudizio, una valutazione, un sì o un no da dire o da rendere effettivo. Le infinite strade sono nel tempo-spazio del nostro essere-nel-mondo, del nostro sapere-di-esser-ci, dello stato evolutivo e della nostra speranza.
Nel presente si incrociano le infinite strade della nostra vita con quella degli altri, con tutti i vettori causali che troviamo o incontriamo (il verbo encontrar, in castigliano), mentre il futuro si perde nella sua concettosità teorica, nell’inesistenza attuale, nella sperabilità pericolosa dell’illusione. Il passato è costitutivo, è corpo ogni tanto ri-fatto, è flusso di cellule e pensieri riposti da ricostruire ogni volta.
La vita mia si è dipanata per infinite strade e la memoria visiva non mi aiuta: io ricordo nomi e date, più difficilmente volti, che a volte ricompaiono, dal nulla della mia dimenticanza o smemoratezza selettiva. “Sono la sorella di Franco”, mi dice una signora accanto al marito sorridente, di cui ricordo la voce ma non le circostanze del precedente remoto incontro. E di quale Franco, mi chiedo io… Conosco diversi “Franco”. Non li ricordo tutti, mentre invece loro sì, mi ricordano, quei due “la sorella di Franco e il marito”.
Disattenzione la mia? Forse il limite quantitativo che definisce i contorni di ogni conoscenza, di ogni esperienza umanizzante e ominizzante. Abbiamo paura del diverso che viene da infinite strade, temiamo per la nostra incolumità e la nostra vita futura, perché abbiamo bisogno di spazi aperti, di respiro, di profumo, di senso. Ciò che non comprendiamo ci appare insensato, così come certe strade che si perdono nella penombra della sera e o nella nebbia incipiente di tarde sere novembrine.
Il tempo e lo spazio, unica dimensione anche se percepita duale, ci contengono, ma fino a un certo punto. A volte preferiamo dis-correre di sogni segreti, ma con noi stessi, senza condividere, restando silenziosi lungo le infinite strade.
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