Radicalità e radicalismo, irrazionalità e follia
La confusione lessicale in corso, come spesso sottolineo qui, rischia di fare molti danni. Due esempi: a) lo scivolamento semantico del concetto di “radicalità” sempre più verso “radicalismo” inteso come estremismo; b) altrettanto per quanto concerne il termine “irrazionalità”, oramai utilizzato quasi come sinonimo di follia o pazzia.
In realtà il termine “radicale” afferisce a “radice”, la radix latina, cioè origine originante, tant’è che si usa in matematica (radice quadrata etc.), e pure in logica filosofica e gnoseologia. Riflessione radicale significa riflessione sui principi primi della logica e della critica della conoscenza: se dico “io sono io e non posso essere non-io”, effettuo una riflessione radicale citando il principio di identità e di non-contraddizione, di matrice aristotelica. La filosofia della relazione contemporanea di un Buber o di un Lévinas potrebbe contestare in qualche misura questo asserto, sostenendo che il mio “io” si configura solo nella relazione con un “tu”, che è un altro “io”, o che il mio “volto” si riconosce solo se si confronta con il “volto” di un altro, ma non importa, il principio di non-contraddizione resta valido.
Aggiungo: in storia delle dottrine politiche incontriamo il “radicalismo”, come “ala sinistra” del liberalismo in Francia e in Italia già a fine ‘800, e poi nel secondo dopoguerra del ‘900 in Italia, con Ernesto Rossi, Mario Pannunzio e soprattutto Marco Pannella, le cui idee e opere sono a tutti note, anche per il loro profetismo laico… e cristianissimo, anzi “gesuano”. Che oggi il “radicalismo” si riferisca prevalentemente a ogni forma di “radicalizzazione”, specie quella islamista e terroristica, è un fatto, ma è anche un impoverimento espressivo-lessicale, di cui essere consapevoli.
Per quanto riguarda il concetto di irrazionalità, anche qui stiamo assistendo a una sorta di deviazione nell’accezione corrente: se l’irrazionale, in filosofia (cf. Schopenhauer e Nietzsche, tra altri) come nelle varie letterature, afferisce essenzialmente al recupero della dimensione istintiva, “poetica”, intuitiva e induttiva, che permette una conoscenza del “reale” dal particolare all’universale, mediante un accesso alla dimensione creativa e fantastica, proprio per questo non significa “follia” o “pazzia”. Movimenti come il dadaismo, il surrealismo e il futurismo sono ormai del classici dell’irrazionalismo artistico e culturale, senza che ciò significhi alcunché di folle.
Ecco allora che dobbiamo sempre effettuare una riflessione radicale sui termini che usiamo, senza pedanteria, ma con il necessario rigore, almeno per ridurre un poco la confusione terminologica e concettuale pervasivamente dannosa di questi tempi.
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