Lo sguardo metafisico
Ogni oggetto, paesaggio, volto, orizzonte, scorcio di cielo o sfondo di montagne, ogni orizzonte marino può essere visto da un occhio romantico, alla Caspar Friedrich, pieno di pathos, entusiasmo o paura, oppure con sguardo metafisico, epistemico. Io preferisco quest’ultimo. Se l’occhio romantico si emoziona ed emoziona lo spirito, con un movimento del sangue e dei visceri, lo sguardo metafisico vede forme, vede contorni immoti, o anche mutevoli come le onde del mare, ma le rifà come idea, come astrazione, come eternità.
Qualsiasi remoto borgo deserto e silenzioso, come quelli che visito nel mio peregrinar crepuscolare, assume ai miei occhi un disegno che va al di là della sua storia, della struttura urbana, del paesaggio, del sentimento stesso del viandante. Il mondo appare in tutta la sua trasparenza, oltre il massiccio constare delle cose. Del mondo appare l’essere suo e l’essenza trasparente e ciò di cui non si può dire se non che è.
Anche le nature morte alla Morandi, oppure il pentolame da cucine, i mucchi di porfido sull’acciottolato in attesa di esser messi in opera, i filari di pioppi a perpendicolo dell’antica carrareccia, il tempio in mezzo alla campagna come la Madonna di Strada o la Beata Vergine di Screncis, il primo con le lesene neoclassiche, il secondo con grande pronao ionico. De Chirico e gli scorci di Ferrara, o una stazione abbandonata lungo la linea Gemona-Sacile, quella di Meduno o di Pinzano, invase dallo stridio religioso delle cicale agostane.
Abbiamo bisogno di metafisica, più che di romanticismo, che spesso scivola nell’individualismo sentimentaloide. Il mio amico Tellia propone sociologicamente la causa centrale del declino dell’occidente nell’enfasi posta sull’individuo, nella sua incapacità di astrarsi di contemplare, di mettersi a-lato-del-mondo, e non al centro come invita a fare la delinquenziale Vodafone. Al centro del nulla, siamo, quando ci mettiamo al centro, e al centro del tutto, siamo, quando ci mettiamo a lato, nella contemplazione dell’essere altrui e del nostro al confine.
Se si vive di solo sentimento “mi sento, non mi sento”, si perde di vista la propria posizione nel mondo, che è centrale ma anche periferica nello stesso tempo, come è la Terra stessa rispetto al cosmo. Nel sentimentalismo romantico il centro è chi prova il sentimento, che può essere d’amore o di morte (cf. Leopardi e Freud, tra altri), mentre lo sguardo metafisico si concentra-diffondendosi (exinanita profunditas) sul tutto e totalmente, in una visione gestaltica e luminosa.
La metafisica si occupa di ciò che sta al di là della fisica e della biologia, anche se molti pensano che non vi sia nulla. Sono gli stessi che vivono di cultura indiretta, che non cercano fonti informative di persona, che vivacchiano sul tormento altrui. Ne conosco.
Quei due turisti lignanesi annoiati, non delle zanzare, ma delle cicale, fanno parte di questa categoria di funzionalisti individualisti che indebolisce il mondo, e il nostro mondo in particolare.
A costoro sfugge la bellezza della scansione delle stagioni, della rotazione terrestre con il suo ritmo di buio e di luce, gli sfugge l’infinito formicolio della vita silenziosa delle piante, degli animali e dei nostri stessi corpi, impegnati come sono ad auscultare il sentimento del giorno, dell’ora, del momento, sordi e ciechi a ciò che è sotteso, che dura, che era prima e sarà dopo le loro volatili, e talora miserande, emozioni.
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