Fashion marketing management (o della cultura del nulla)
Prima di ridere a crepapelle aspettate che vi dica di che cosa si tratta nel titolo: è una facoltà universitaria privata di Firenze cui è iscritta la neo-eletta miss Italia, ragazzona di 1,77, sul biondo, occhi verdi, etc etc etc. Superiori a indirizzo scientifico, non so di cosa. E’ chiara la ragione del declino del pensiero argomentante e della logica critica giudicante, chiarissimo! Oggi si fanno superiori sperimentali a pacchi e poi ci “laurea” in fashion marketing management, su testi di Twiggy e Coco Chanel, o delle valentissime sorelle Fontana, o di Donatella Versace, magari per diventare fashion blogger, ovvero un grado più del cane.
Non continuo perché scivolerei verso il turpiloquio. Piuttosto recupero il pensiero del grande matematico Vito Volterra, che sosteneva, come umilmente anch’io faccio da decenni, l’unicità della cultura nelle sue declinazioni, umanistica e scientifica, essendoci “umanesimo” nella ricerca scientifica, con le domande sulle ragioni del “come-funziona” una cosa, e “scientificità” nella ricerca umanistica: il “perché” delle cose unifica fisica e diritto, filosofia e medicina, matematica e glottologia…
Vediamo meglio il pensiero di Volterra. Fondatore primo presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche fin dal 1923, e successivamente licenziato dal regime fascista cui era contrario, Volterra si è battuto sempre per l’unità dei saperi, superando la distinzione un poco “gentiliana” tra umanesimo e scienze. Volterra riteneva che la distinzione tra i due amplissimi campi non stesse negli aspetti disciplinari, bensì nell’approccio epistemologico: in altre parole egli riteneva di poter definire scientifica una disciplina umanistica, come ad esempio lo studio delle strutture linguistiche romanze, e di poter in ogni caso definire umanistica anche la ricerca sull’origine o inizio dell’ominizzazione, poiché nel primo caso si tratta comunque di un sapere strutturato e metodico, e nel secondo di una domanda di merito su una questione legata all’uomo e alla sua storia, nella sua interezza.
Tutto è umanesimo e tutto è scienza, se si vuole ricercare seriamente. E allora, vengo al tema delle scelte e degli ordinamenti scolastici. Fino a qualche decennio fa era possibile accedere a tutte le facoltà universitarie, che però non erano frammentate in miriadi di dipartimenti come oggi, solo con il diploma di maturità classica. Ora invece è possibile iscriversi ovunque all’università, avendo fatto qualsiasi quinquennio di superiori. Si incontrano, di conseguenza, ottimi ragionieri che son diventati dottori in economia, ottimi periti che son diventati ingegneri, ma anche periti che si sono laureati in lettere e le insegnano, senza avere alba minima di latino e di greco, forti solo degli esametti obbligatori di un latinetto edulcorato comunque previsti negli anni accademici. Ohilà! Che insegnanti abbiamo?
Poi abbiamo persone “esperte in risorse umane” che hanno fatto perito turistico e poi relazioni internazionali, ohibò! E poi ragionieri che hanno studiato giurisprudenza e non sanno un latinismo giuridico, diritto romano mal digerito, forse, senza latino, avvocati? ma dai!
E così via, una congerie di saltabeccanti percorsi formativi, in un delirio di ex facoltà, ex indirizzi, ex dottorati, una miriade di master ripetitivi e costosi, progettati più per dare ore da fare a docenti abbastanza scarichi, che a perfezionare discipline accademiche.
Non mi sembra che sia una strada prudente e saggia, e piuttosto, invece di continuare a moltiplicare quanto sopra, magari rendendo gli studi sempre più frammentati e generici, perché non riconsiderare una storia e un patrimonio unico, come quello che ancora abbiamo in Italia, il liceo classico, dove si studia il latino, il greco, la filosofia, la matematica, la logica e l’argomentazione critica. E’ semplice tutto ciò, anche se faticoso e complesso da affrontare. Chiedo troppo, io che vengo dalla periferia contadina operaia e che son stato criticato quando scelsi questa scuola, che ancora costituisce la base di tutti i sudati saperi portati a casa dopo? Chi crede di essere Renato, figlio del minatore, che va al classico? sentiva borbottare mia madre.
Un ragazzo è. Solo un ragazzo, esattamente come il figlio del medico e dell’avvocato di Udine. Esattamente.
L’omp l’è ca, o ai fa ce co hai podut par chist mont e par chel altri, Signor, si sin intinduz, amen.
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Una delle cose più ridicole del mondo universitario (mondo per lo più marcio a cui sono rimasti più fini di lucro e altro e intriso di nonnismo e ipocrisia tanto da rendere la gestione dei dottorati qualcosa di più simile ad una mafia che ad un processo educativo) è questo proliferare di corsi di formazione sulle più strane figure di marketing e management.
E la cosa triste è che a causa di questo per vendere dei succhi di frutti aiuta avere la laurea in food marketing anche se di fatto il laureato di food marketing ha molta più confusione in testa e molte meno idee dal riscontro positivo di una persona priva di laurea.
Viene delegittimata la creatività e conoscenza libera insinuando a torto che intuizioni e strategie efficaci nascano solo dallo studio di chi ne ha malamente teorizzato delle basi e negato la loro natura estemporanea. Se Heinlein affermava che la specializzazione è per gli insetti, allora questo sistema educativo e l’industria del lavoro ha portato all’eccesso il contrario di questa affermazione con una visione della specializzazione quasi robotica e a compartimenti stagni. E se una volta l’artigiano faceva sedie bellissime e non aveva nemmeno finito le elementari, in futuro per fare una sedia ci vorrà il laureato in chair leg management, quello in chair seat management, quello in sperimental wood marketing e quello in philisophy of glue like agents e la sedia verrà un’obbrobrio. Ma l’ego dei soliti genitori ignoranti sarà soddisfatto, le tasche di alcuni sempre più piene e la mente di altri sempre più vuota.