Pietro e Giovanni, due vie buone per ri-orientarsi
Simone, detto Pietro di Betsaida (Galilea), nacque verso la fine del I secolo a. C., e morì sotto l’imperatore Nerone a Roma. Uno dei dodici scelti da Gesù fin dal primo periodo della sua vita pubblica, è denominato nella tradizione cristiana universale come “primo papa”, anche se su questo titolo vi son stati conflitti a non finire, prima con le chiese orientali (patriarcati di Gerusalemme, Alessandria, Antiochia e Costantinopoli), e dal XVI secolo con i Riformatori protestanti. Fu un pescatore del lago di Tiberiade, originariamente Šim’ôn (שמעון, “colui che ascolta”, traslitterato in greco antico come Σίμων).
Appartenne al gruppo più amicale di Gesù, con Giovanni e Giacomo, fratelli pescatori figli di Zebedeo, presenti insieme nei momenti più rilevanti del rabbi di Nazaret, come la trasfigurazione sul monte Tabor e l’agonia. Lo difese nell’orto del Getsemani e andò con Giovanni fino alla casa di Caiafas, il sommo sacerdote, ma di lì fuggì impaurito, per cui chiese perdono piangente. Dopo la morte del Maestro Pietro venne riconosciuto come capo dei dodici e primo missionario del movimento ecclesiale cristiano.
Fu il primo a battezzare un pagano, il centurione romano Cornelio. Fu in disaccordo con Paolo di Tarso, su alcune questioni riguardanti giudei e pagani, definite comunque durante il primo Concilio di Gerusalemme (39 d. C. circa), con l’accettazione di una diversa modalità di accesso al cristianesimo da parte degli ebrei rispetto alle altre genti che vi si accostavano (i “gentili”). Fu vescovo ad Antiochia di Siria dal 34 al 64 d. C. circa, e continuò la sua predicazione fino a Roma dove morì fra il 64 e il 67.
Giovanni, conterraneo di Simon Pietro nacque a Betsaida nel 10 circa d. C. e morì a Efeso verso la fine del I secolo, è stato scelto dal Maestro di Nazaret tra i primi apostoli, cui il fratello Giacomo. La tradizione lo identifica con l’autore del quarto vangelo. Come Pietro è partecipe dei maggiori eventi della vita di Gesù.
Giovanni è un nome usato nel Nuovo Testamento, escluso il vangelo attribuito… a Giovanni, e successivamente nella tradizione onomastica cristiana. in ebraico è יוחנן (Yehohanàn), letteralmente “YH fece grazia”, in greco Ιωάννης (Ioànnes) e in latino Ioànnes. Nel Nuovo Testamento è attribuito anche al Battista e al discepolo di Pietro, Marco (Giovanni Marco), cui è attribuito il vangelo più arcaico.
Una lettura molto importante, che riguarda Pietro e Giovanni, e la loro fede.
Gv 20, La tomba vuota
[1] Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. [2] Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». [3] Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. [4] Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. [5] Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. [6] Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, [7] e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. [8] Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. [9] Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. [10] I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa.
Senza la fede nella veridicità di questo racconto, il cristianesimo non avrebbe ragion d’essere, come riconosce lo stesso Paolo (1Corinzi 15, 14). Essi credono e trasmettono la fede nel risorto, al di là di ogni documentazione storico-critica e documentale.
Perché ricordare qui Pietro e Giovanni come vie maestre, di questi tempi sgangherati e approssimativi, maleducati e noiosi? Mi sembrano due piste di riflessione interessanti.
Pietro è un uomo semplice e concreto, un uomo passionale e vero, capace di atti miserabili e di incommensurabile grandezza. E’ un uomo di semplice e fortissima fede. Forse che non c’è bisogno, oggi, di una fede-fiducia nell’uomo e nella sua capacità di crescere e di umanizzarsi ancora di più, nonostante le neuroscienze ci dicano quanto siano importanti i processi chimico-biologici che riguardano il nostro cervello, e che a volte possono far pensare che la nostra coscienza (come auto-consapevolezza) è più apparente che reale? (cf. G. Finkelstein, Emil du Bois-Reymond Neuroscience, Self and Society in Nineteenth Century Germany, Mit Press Cambridge – Mass – London)
Giovanni è più teologo ed è uomo di ricerca e teoria, visione, illuminazione, discorso e intelligenza logica, argomentazione razionale e intuizione. Giovanni ci istruisce sull’esigenza di vivere nella luce della vita donata, nella meraviglia dei giorni che ci sono venuti incontro e futuri, nel tempo-non tempo che scorre e non scorre, perché contenuto nell’eterno. Giovanni ci abitua ad accettare la presenza del male nella natura, come limitazione e invito a essere umili, consapevolmente aperti al limite, alla miseria e alla gloria.
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