poetica
dopo anni di scrittura in prosa di racconti e saggi, tornerò al poema, come nella gioventù mi saliva dal cuore, guardando il mondo e lavorando a togliere il superfluo dagli scritti, per l’essenziale. Ne ho scritte tante, di liriche, le prime da liceale stupito della bellezza e del dolore, della scoperta e dell’assenza. Preparerò una silloge, un’antologia delle stagioni, dai tempi della Cerchia delle Montagne (ed. Arti Grafiche Friulane 1998-2002) a In Transitu meo (ed. Chiandetti 2004), dalle liriche pubblicate sull’Agenda Friulana agli inediti della raccolta Delle trascorse estati, brevissimi haiku, odi elevate, calembour e giochi verbali, anafore, saturae e sonetti regolari. Di tutto un poco che, da un inizio che data un po’ meno di mezzo secolo (1968), mi pare viva ancora, rileggendo. Ho vinto anche qualche premio in giro per l’Italia.
Ho avuto molti maestri umilmente, dai lirici greci come Teocrito, Ibico, Mimnermo, Saffo, Pindaro, ai latini come Catullo e Persio, a satirici come Marziale e Giovenale; e poi il Medioevo con Guittone d’Arezzo, Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Petrarca, e più vicini a noi Leopardi, Pascoli, Montale, Ungaretti, Campana, Saba, e poi Brodskij, Esenin, Achmatova, Majakovskij, Coleridge, Rimbaud, Eluard, Garcia Lorca, Neruda, Borges, Szimborska, Jimenez, Heine, e molti altri in ordine sparso nel tempo loro e mio… avendo presente la lezione platonico-aristotelica sul “bello” e sul “poetico”. La bellezza come cosa buona, perché ciò che è bello è anche buono: la kalokagathìa della filosofia greca classica e il tob genesiaco (…e Dio vide che ciò era buono-bello, il creato)
La poesia è diversa dalla musica, troppo profondamente misteriosa e a-semantica, e dalla pittura, troppo distesa e coprente: piuttosto ricorda la scultura come “arte del toglimento” di ciò che è di troppo (il marmo materia bruta che copre l’idea della statua di Prassitele e Michelangelo), o delle attività fabbrili dove il fuoco forgia e taglia il metallo dandogli forma.
Qui di seguito un qualche saggio delle stagioni poetiche di questa mia unica vita.
La calda stagione ha voci/ Che quietamente complottano nelle boscaglie/ Prima che tutto nell’autunno allibisca/E gli uccelli migratori se ne vadano.
Qui da noi sono i cimiteri pieni di neve/ A scandire il silenzio/ Ovunque/ Sgocciolano al lieve tepore i coppi/ Delle muraglie/ Ma la neve scompare/ Lasciando intermini spazi/ Senza frangivento.
L’ALBERO DI SICOMORO[1]
Qualche volta/ Di sera,/ Alla fine del quotidiano fibrillare,/ Val la pena di rileggere Luca/ Laddove narra di Zaccheo,/ Esattor [e imbroglione],/ Uomo di modi melliflui,/ E di tutti i tempi,/ Per verificare se non serva a ciascuno/ Salire sull’albero di sicomoro,/ Per vedere al di là del palmo del naso,/ E magari anche, [con un po’ di fortuna],/ Sentirsi chiedere:/ “Scendi di lì ché quest’oggi/ Cenerò a casa tua“.
[1] Vangelo secondo Luca 19, 1-10
Gelsi contro la mattina azzurra/ Voci di mattinieri uccelli/ “Niente più della gioventù/ Mi è caro”/ Ovunque vada/ Il tempo cinge con diademi la ventura/ E il gioco/ Rapidi gli anni sfumano/ Larghi silenzi stremano le ore/ I pomeriggi/ La luna/ I fili vermigli de l’amore/ In lontane regioni/ Del cuore.
LAGUNE
Nell’ampio volo di quei rapaci/ Nelle volute di foschia/ Nelle parole azzurre del cielo/ Nelle volte che il mare/ Raggiunge i tuoi piedi/ Nel calare della sera/ Sulla fronte tua/ Libera.
ETRURIA
Appena scorto un sorriso di colli/ Terra di Siena/ Macchie gialle nei boschi/ Cittadelle in cima/ Selciate/ Passi di cavalieri/ Ronde e cavalli bardati/ Cotto e pietra viva/ Nei palazzi e nelle cattedrali/ Dai secoli cistercensi/ San Galgano che finisce in cielo/ Lesene e trifore in scorci mattinali/ Pallidi ulivi/ Come in Poggio al Vento.
IGUAZU’
È l’onomatopea dello sciamano/ È la quebrada[1] del Sudamerica/ È il canto della tigre millenaria/ È un vento/ È il tempo fermato/ È il tempo che ritorna/ È madre e cielo e terra e rocce/ È limo fertile/ È potenza e tenerezza e dolore/ È un grido di terrore/ È voce di allegria/ È parola tronca/ È il volo rischioso delle rondini/ È un atto e perfino un desiderio/ È il colore dell’acqua sospesa.
[1] Spagn.: avvallamento, canyon
ABSIT LAUS ADVERBIS
Esclusiva/ mente/ Selettiva/ mente/ Completa/ mente/ Lucida/ mente/ Ferma/ mente/ Logica/ mente/ Improvvisa/ mente/ Final/ mente/ Io/ Come/ Male/ Minore.
CINQUE STANZE D’ARGENTINA
Nel mattino c’è vento antartico/ Appena temperato dal sole/ Per l’Avenida de Majo/ S’indovina il grande estuario/ Salmastro/ E la rotondità della terra/ Nei rettifili.
In attesa di Cordoba/ Tra omnibus multicolori/ È tutto un tourbillon/ È tutto un tango/ Un’infinita e chiara/ Meraviglia.
Il vento del nord/ Ha portato l’estate e folle multicolori/ Sotto la statua del padre Sanabria/ E verso il Cabildo/ La sierra sopraeleva l’orizzonte/ Come un’increspatura/ Acquazzoni improvvisi/ Su la pampa ineguale/ Di Carlos Paz.
Il viaggio è a ritroso/ Nel tempo interiore/ Finché la gola è sgomenta/ Sentendo i fràdis/ Di Colonia Caroja/ E i sapori di un tempo rallentato/ Da Gabriel Pietro Comisso Nicoletti/ Marcelo Veronica Mariuzza/ Ermes Rodolfo/ Josefina/ Y otros/ Y otros/ Y alambrados de otros.
Mentre si giunge al tropico del capricorno/ Ognuno ha pensieri/ Dei villaggi intravisti/ Tra i borachos/ E gli eucalipti.
…/ Eccovi qua,/ Compagni,/ E ora ricompattarsi/ È d’obbligo/ Per salvaguardare la sicurezza/ Della linea/ La fiducia/ Del quadro intermedio/ Vacillante/ E così credendo/ Recuperare consenso/ Tra i lavoratori/ Rimuovendo contrasti/ Omissis diffusis/ In unità fittizia
Cari compagni, se non altro/ Se non progetti di politica/ Vi accomuna la forfora.
Oggi è diverso il calar del sole/ Più silenzioso nella strada/ Indistinto tra le acacie/ In un pallido alone nebuloso.
A oriente già è notte/ E piano tingendosi di viola/ Seguono il calar del sole/ Le nuvole a occidente.
“E COME IL VENTO ODO STORMIR…”
“Quieta non movère”/ Recita l’adagio sapienziale/ Poiché rischi d’inquietar scorpioni/ Assopiti sotto il sasso/ Ovvero la serpe sibilante e linguacciuta/ Che ti minaccia.
Orbene,/ Si decide di movère/ Quando conviene a pochi/ E allora si ricorre/ Ad ogni strumento acconcio:/ Dal blandir tenero della piaggeria/ All’ordine proveniente di lontano/ Che ha durato un percorso arcano/ Nell’epifania del desiderio,/ Per ottener lo scopo/ Di un popolar suffragio,/ D’un gran voto [cambia il significato se la prima “o” è aperta o chiusa].
Ahinoi! com’è lontano il cuore/ E l’infinita inquietudine/ Di chi cercava dentro a sé e nel cielo/ Una ragion dell’esser vivo.
A noi, suppongo, si paventa il rischio/ Del mar che Dante regalò ai golosi,/ E un po’ ai violenti e ai lussuriosi/ Avvinti nel lupanare [della politica?],/ Ma,/ Visto appena da discosto/ Il mar di merda è piccolo,/ In breve la salsedine avrà partita vinta:/ Solo un poco di sporcizia/ Nel “mar grando”.[1]
[1] Cf, espressione tipica del poeta di Grado Biagio Marin
FONTANE[1]
Seguire con la penna trasecolate bolle/ Di luce/ Un brillio sottile di mattina/ Nello specchio liquefatto del mare/ O l’azzurreggiare/ Dell’onda/ O la traccia determinata del sole/ Che scende/ Anzi l’erba la lucertola verde/ E il perlaceo sfondo/ Tra le isole.
Seguire con la penna il cielo notturno/ Il frinire di grilli e le stelle/ Pensieri antichi/ Memorie/ Di bianche rovine/ Di castelli/ Del te stesso che eri.
Seguire con la penna/ Le tracce del volo dei cormorani/ Giù in fondo alle falesie oscure/ E l’onda che risucchia i sali/ E ivi deposita/ Caligini.
Seguire con la penna/ L’unica nube/ Bianca/ Che sonnecchia/ Di sbieco.
Seguire con la penna il passo/ I mondi nascosti dietro libri/ Letti sonnecchiando/ Riannodare remote canzoni/ Lezioni di musica/ Saltellanti ghiandaie/ Nel bestiario quotidiano/ Asciugamani multicolori/ Culitettevisioni/ E stanchezze immani/ Che hanno il colore verde della macchia/ Il cilestrino del vento/ Il viola il verdeacqua/ Il blu oltremare.
Gratias ago infine/ A chi detta di seguire con la penna il volto/ La parola/ Il lesto frusciar/ D’un animale/ La voce non vicina di un bimbo/ Un aereo lontano/ La pazienza/ Il lavoro delle donne che puliscono i cessi/ Vestali delle funzioni corporali/ Presidio del benessere.
Grazie al cielo che son vivo/ E scrivo e mangio e dormo/ E uso il corpo e lo rinnovo/ Da rimediar cotidie/ Al declino dei neuroni/ Fatto saggio del mondo/ Peritura favilla del cosmo/ Come un colore che si rappresenta/ All’occhio -ma non è-/ Come una posa un inganno con lunga esposizione/ da non bruciare la pellicola/ Per collegare il prima e il poi:
La terra/ Al mare/ A isole/ Noi/ Filo diamantino/ Di parole/ Increato arcipelago/ Isole noi.
[1] Località della costa istriana.
VIA VARMO
L’aspro solco slavato/ A percorrere i fossi/ E la purezza delle nubi/ Sfilacciate/ Tra filari di viti/ E le magre contorsioni dei gelsi.
Un cane/ È apparso/ In fondo alla distesa.
I “BARETZ”[1]
Si affacciano al lenzuolo dei monti/ Patriarchi dormienti/ Nei muggiti materni, nel fieno.
E sempre ci sono/ Lacrime discrete/ Ringhiate al grembo dei campi.
Le finestre a sera/ Proiettano l’ombra d’un erpice/ Sull’ansito caldo dei cavalli.
[1] Toponimo rurale di Rivignano.
E le viole pensate così deboli/ E i lunghi soffi di scirocco/ E le voci sicure del bel tempo/ Alla pioggia di fresche vampe.
Il carro che lento traccia/ Un solco nel terriccio/ I pensieri lasciati nei canali/ Le scie d’arancio alla sera
Oltre il Tagliamento.
LA CASA DEL MARE
Tra i pini neri venuti dalle montagne/ E il salso del mare.
Gratias agamus alle strade/ Che si snodano a spirale/ Nel vento levato.
Ai reconditi eventi che hanno creato/ Le dune.
Al lampo e al tuono che si rincorrono/ Gratias agamus.
Alle onde e alle rive blandite.
La vita s’alimenta/ Di giornate scandite/ Di rumori/ Voci note/ O ignote/ Pensieri d’altri cieli e d’altre strade/ Come a Firenze/ Dove si coglie/ A stare attenti/ Il sospiro d’Arnolfo/ O ser Filippo/ Vivi/ Nella contrada/ Mattini trasparenti/ E odori buoni/ E il passo/ In cerca d’antiche novità/ E di stupori/ Nati domani.
IL GRANAIO DEI SOGNI
Nessuno spezzi il diamante/ Che disegna il filo dei sogni/ La traccia che conduce alla stanza delle meraviglie/ Dove ci sono bauli e casse misteriose/ E il pulviscolo trasluce nel raggio meridiano/ Del sole,
E scricchiolii/ Accompagnano i passi/ Sul pavimento di legno
Dove,/ Se si fa silenzio/ Puoi rivederti bambino/ E sentire i richiami della mamma giovane/ Imbatterti negli occhi del padre/ Increduli.
Dove/ Si nascondono i sogni.
L’ALTRA CROCE
L’albero storto da cui pendi, o Giuda,/ Dopo aver pianto nel nascondimento/ Contrasta contro il cielo che si oscura/ In un tremendo estremo scuotimento,
Lì l’universo intero s’è sconvolto/ Vedendo il Volto, Dio vero, e Figlio,/ Dal peccato del mondo capovolto,/ Cuore di uomo di tenebra e d’orgoglio.
Silenzio è sceso, ma un discosto grido,/ Rantolo ultimo come di morente,/ Chiede perdono: è Giuda, Lui lo sente.
E i due ladroni tacciono alla fine./ Salvàti, amati, uomini la morte/ non vince: L’Oltre è promessa vostra sorte.
MI SONO FAMILIARI I LUPI SCURI
Il dolore intride l’anima e perfino/ Rimuove il velo al vero dentro, e tace,/ Rispondendo, se non perdi la traccia./ A me sono familiari i lupi scuri,/
Quelli che appaiono al confine/ Dei sentieri, dove escono dal bosco./ A me là sono familiari i rombi/ Dei temporali estivi, e la pioggia/
Battente e fredda sui selciati grigi./ A me qui sono familiari i lampi/ Occhio di lupo al termine, più o meno,/
Della notte, ma lontani dall’alba./ Mi sono familiari le lontane/ Frane sui monti e le valanghe atre.
CANTAR PER ELUANA
Qualcuno dice di lasciarla andare,/ Ma se non vuole, come si può fare?/ L’anima è viva e irrora il tenue fiato,/ Come un istante eternamente dato./
Il vento porta le parole vane,/ E non è il vento delle sue montagne./ Giuristi e medici si dan da fare/ Per aiutarla con pietà a morire./
Interrotto sentiero nella nebbia,/ Giovane che sorridi e resti ancora,/ Qual è il cammino che rimane alfine/
Di un sol filo di vita avvinto, e dove,/ E come sei pioggia diventata amara/ Al tuo sangue, che scorre nell’altrove.
NIRVANA
Ciò che spegne col soffio la candela:/ “Liberami dal dolore della terra”/ Sicché possa congiungermi all’eterno/ E infinito da cui tutto procede./
Le luci pallide di questo tempo/ Memorano all’occhio l’invisibile,/ Richiamando fortezza e vanagloria/ Le pulsioni, sorelle, e l’impossibile./
Lascia che il demiurgo ti resusciti/ Senza dolore e nella pura gloria:/ Tu gioirai come per la vittoria.
Ma vera non è se tu non l’abiti/ L’aspra e ventosa isola straziata/ Che vive la tua anima esiliata.
MYSTERIUM INIQUITATIS[1]
Non c’è concetto né ragione umana/ In grado di dar buona spiegazione,/ Solo il pensiero di un più grande bene/ Può salvare una qualche sua ragione./
Quando osservi il dolore sul dolore/ “Basta” ti esce, una tremenda voce,/ Ma non si ferma, anzi s’accentua ancora/ La dura punizione della croce./
Ma tu ma tu che credi d’esser forte,/ Forte non sei perché cagionevole,/ Come una foglia che scivola a morte/
Giù dal suo ramo dov’è appesa appena,/ E volteggiando cerca il suo dominio/ Di terra scura, per lasciar la scena.
[1] Lat.: mistero del male
SOGNO E’ LA VITA ED E’ IL MORIR, SVEGLIARCI[1]
Endecasillabo disincantato/ Di un uomo in vista della propria morte,/ Percorso il tempo suo disanimato/ Del senso vero dell’umana sorte./
Illuminazione non mai tardiva/ Sulla resipiscenza e sull’azione,/ Che si dipana sola e vera e viva/ Nella ricerca della sua funzione,/
In questo mondo perituro e aspro,/ Inconsapevole sollievo e incastro/ Tra le azioni umane e la prescienza/
Divina, permeata di sapienza,/ Cosicché gli sovviene il verbo vero/ Inesplicabilmente dal mistero.
[1] Voltaire, [Francois Marie Arouet] 1694-1778
FINITI ILLIMITATI, …BOLLICINE
Sfere perfette e immisurabili,/ Numero irrazionale, inconoscibili,/ Seguono i comandi della bimba,/ Nelle folate di vento a inizio/ Primavera, quali iridescenze frali/ Scompaiono per terra,/ E basta un filo d’erba per scomporle,/ O tra i rami d’albero spogli,/ O infine, baluginando/ Verso le incerte nuvole di marzo,/ E il volo delle tortore.
JENNIFER
Lo scuro umido fango ti ha coperta/ E sei rimasta a respirare terra:/ Dolente, informe, macerata, stremo/ Di forze estreme che il tuo bimbo chiama./
Chi ti ha guidata nell’andito buio?/ Che forza ti ha piegato dolce madre?/ Jennifer di vent’anni, e una visione/ Persa nei colpi del perduto uomo./
Ora rimane l’ombra del tuo amore/ Tenero, immortale, irresistibile,/ Lume di gloria, seme di vittoria./
E di là un pianto, sommesso, della madre,/ Alto è il silenzio nella strada attonita,/ Velata è la ragione del dolore.
PANTANI
Sale ancora la bici sul declivio/ Tra i raggi scintillanti del meriggio,/ Pensieri persi nella valle oscura/ Per cercare più in alto la tua pace./
Sul volto la vittoria pregustata,/ La prepari con un sorriso breve,/ Ma la strada non cede e sale ancora/ Fino sull’Alpe che il tramonto indora./
Hai negli occhi una rapida emozione/ Come se più il traguardo non ci fosse,/ E la malinconia lì ti prendesse./
Ma il cuore batte giusto e il sangue gira,/ Il vento dei tornanti giù ti attende,/ L’anima tua inquieta il tempo fende.
Tra Ulisse e Narciso/ Uomo e donna al mondo/ Qui mettendo in conto/ La ricerca quotidiana e lo sbalordimento/ E il mistero labirintico/ Dell’essere/ E i nomi dell’amore/ E ciò che sia felicità/ E ciò che sia dolore/ E ciò che siamo noi/ E ciò che diveniamo/ Noi che siamo/ Contenitore infinito/ E necessario/ In questa vita/ E oltre
BIMBA
Davanzale/ Fiore giallo che trema/ Al brivido/ Di vento/ Sul farsi/ Della stagione/
“Se come oggi/ Non fossi andata via/ Avresti ventun’anni/ E la tua primavera”/
Ma stamani/ Il fiore giallo/ E’ lì tremante/ Al tuo passaggio
SAUSALITO
E’ la sonnolenza ispanica/ O di un non so dove/ Una “Stoccolma” di indi e cinesi/ Con draghi e i barboni/ Come totem navajo/
E’ l’Oceano che bussa al Cancello d’Oro/ Con lunghissima onda/ Lambendo Alcatraz/ E si perde per miglia/ All’interno/ Verso la Sierra Nevada
San Francisco/ Onda pietrificata di strade/ Tenute per mano dal dio della faglia/
Infine é la nebbia/ E’ il cielo dorato/ A corona dei colli/ Fino a Sausalito
NEW JORK CITY
L’acrocoro fra i due fiumi/ Manhattan equorea/ Da Ellis Island alle torri gemelle/ Del World Trade Center/ E poi saliscendi ortogonali/
Di notte è respiro miagolii ritmici insonne/ Di yuppies/ &Drogati/ &Neri/ &Sanguemisto/ &Policemen/ &Homeless/ &Taxi drivers/
Speranza in una bottiglia anzi brindisi al mondo/ Con la fiaccola della libertà/ A picco tra il New Jersey/ E il Mare Oceano
ARRIVO A ROMA
Corrono via le immagini dei colli/ E’ l’alba chiara nuvole di Roma/ La notte passa in un intorpidirsi/ Delle chiacchiere e dei distesi corpi./
Scirocco amplia le voci di stazione,/ I palazzi umbertini han le bandiere/ All’aria in fondo a via Castro Pretorio,/ Mercanti mostra frutti colorati./
Roma rivive dopo il breve freddo,/ Si é già accaldati e non é primavera,/ Si sciolgono i languori delle donne./
Trascorsa la mattina pianamente/ Scombinando le geometrie del cielo,/ Ma fuori al sole cova primavera.
CONTADINI
Sono voci da aie lontane/ Richiami attutiti/ Dallo smorto, diffuso/ Pietoso autunno/ O controcanto nei discorsi/ Della sera
SENTIERO RILKE
Ancor che nella pura lontananza/ Là circonfusi con l’ambrato mare/ Si stemperino in scaglie variegate/ I relitti dei veli del tramonto;/
Prima che oblii discendano dai balzi/ Verso le vele e le falesie bianche,/ E la luna compaia come un nume/ Sopra il silente Carso calcinato;/
Prima che il vento stremi la boscaglia/ Tra i violacei sommacchi e la ramaglia,/ Ci è parso di vederlo camminare./
E allora abbiamo atteso che passasse,/ E più oltre scomparisse tra le ombre,/ Remote a quella sera, sul sentiero.
MONTE NEBO
Vero è che sono l’arameo errante/ Su cui il Signore prova la sua gloria,/ Là spero sia il fine del cammino/ Il monte Nebo, per veder la terra./
Certo il percorso è erto e faticoso/ Di tra le pietre e rugginose spine,/ Che di traverso ai passi sono poste/ Per ricordare il limite e il dolore./
E quando sarò in vista della vetta,/ E arrancherò sugli ultimi tornanti/ Il cuore in gola si farà sentire/
Rimbombando nel petto come tuono./ Così mi basterà guardare a valle:/ Sul fondo il mare e due figure sole.
DAL SALMO 109, VERSETTO 23
“Scompaio come l’ombra che declina”/ Ma non temo il mio destino né l’abisso/ Del tempo che manca, che non è:/ Vi è solo l’attimo che passa, quasi/ Inavvertito, lasciando impercettibili/ Sussurri, o rimbombi itineranti su nel cielo./ Resta l’attesa ma solo se la pensi,/ Ché altro ha da fare, leggera, erma di canti/ Muti e di silenti onde, male impetuoso/ Indietreggiato al sorriso degli angeli,/ Roccia senza appigli che scansa il timoroso/ -Rivelando- per un fuggevole istante,/ L’algido petalo del granito.
META’ TA’ PHISIKA’
Se l’ente è,/ Non è il ni-ente,/ Perché se fosse il ni-ente/ Non sarebbe l’ente;/
Piuttosto, se sembra che l’ente/ Balli il tango col ni-ente,/ Si tratta di un suo scomparire/ Prima del nuovo riapparire,/ Dell’ente.
E’ un remoto saluto dell’autunno/ Prossimo/ Oggi il vento levatosi all’alba/ Come uno struggimento di stagione/
Cuore mio risoluto/ Ora ascolti il pulsare/ Come un trotto sul selciato/ Della vita interna dei corpi/ E de l’amore,/ Verità dell’anima aperta/ E muta,/ Verità del sapere Incontrastabile,/
Come il primissimo istante.
Mors amoris/ Amor mortis./ Che sia un’alfa privativo/ La “a” di amore,/ Nel senso di essere/ Prima,/ E nonostante,/ E oltre/ La morte:/ Amore e morte/ O amore o morte?/ O solo amore?
RONNIE LEE GARDNER E’ MORTO
Steven Turley gli ha messo un cappuccio nero/ Sulla testa e poi la raffica./ Quattro fori nel bersaglio bianco sul cuore,/ Cinque winchester hanno tuonato,/ Uno era a salve, per illudere/ Ognuno dei cinque fucilatori di non avere ucciso./ Da 25 anni nel braccio della morte,/ Gardner, due omicidi alle spalle,/ Una vita iniziata nel degrado/ E proseguita peggio./ Ora giustizia è fatta, come ordinato nel Levitico,/Capitolo 24, versetto 17./ La sedia della fucilazione, nera,/ Era come un trono,/ Come la notte il nero tutt’intorno,/ Inutili sacchi neri di sabbia,/ Inutile sedia nera,/ Come un trono era il luogo del peccato./ Gardner non ha scelto di essere crocifisso/ Sul tavolo a croce/ Dell’iniezione letale,/ Ha preferito il trono che spetta agli uomini/ Fatti a immagine e somiglianza di Dio/ Genesi 1 capitolo, versetto 27:/ Che lo stato guardi in faccia chi uccide./ … E il ministro di giustizia dell’Utah può dire:/ “Che il Signore perdoni chi non ha avuto pietà/ Delle sue vittime”. Il ministro di giustizia./ Ma quale giustizia può l’uomo,/ Se la sua colpa è sempre/ Inferiore al peccato, e solo Dio/ Può sapere di quanto?/ Ronnie Lee Gardner è morto,/ Ora il mondo è più “giusto”./ Amen.
TU INTENDI
Il tempo/ dell’eternità/ Di fronte all’angelo/ Della storia Tua/ Vòlto all’indietro/ Al sorriso aperto/ Il Volto.
Anche se tramortito/ Su e intorno/ Al tuo tempo/ Di sensi pensosi/ Di grazia/ Senza che ciò sia un faticoso/ Esercizio di sillabe.
DELLA MEMORIA
Nelle vuote profondità del tempo/ Nascon stelle, destini e sentimenti/ Il vento va e poi ritorna lento/ Per valli antiche corse dagli armenti./
Ricordo volti antichi d’altre ere/ Di giorni e viaggi e sguardi sconfinati/ Ricordo cieli e lente primavere/ Altri recinti, palizzate e prati./
Il vento va e poi ritorna ancora,/ Senza requie pensieri si rifanno,/ Un dolore rinasce nell’aurora./
Vince la vita come sempre al mondo/ Lo Spirito che soffia dove vuole/ Ti dona libertà anche se duole.
LIKE AN EPIGRAPH
…e ora qui vi saluto/ torno alla mia casa/ ai miei sogni/ e vago per il mondo/ che amo/ non pensate a me/ pensiamo insieme/ a tutta la terra
[1] Ingl.: come un’epigrafe.
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