Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Intellettualità e intellettualismo

siCaro lettor di tardo novembre,

le ultime elezioni americane, nelle quali ha vinto Trump sulla stra-favorita (secondo i media e i sondaggi) Rodham Clinton, mi hanno fatto riflettere su un sintagma: intellettualità/ intellettualismo. Ambedue le parole hanno in comune la radice “intelletto”, cioè la parola che significa, lasciando perdere la storia complicatissima delle sue accezioni antiche, medievali e moderne, la facoltà mentale atta al pensiero pensante, riflettente e giudicante. L’intelletto è una facoltà soft, altra cosa, ontologicamente, dall’organo che lo produce, il cervello, e anche -comunque- da facoltà correlate o in qualche modo derivate, quali la ragione, i sentimenti, le emozioni, le passioni e così via, coinvolgenti più in generale l’intera corporeità umana.

Anch’io, lo ammetto tranquillamente, tifando per la Clinton, ho peccato di intellettualismo e forse anche di cerebralismo e, in definitiva, di presunzione. Da un lato ho scambiato le mie inclinazioni di voto (virtuale) e il giudizio di merito sulle due persone, favorevole alla candidata, per una sorta di considerazione del tipo “la Clinton non potrà non prevalere“, ciò per ragioni legate alla maggiore cultura, esperienza, presentabilità di lei rispetto a Trump. Sbagliato: ho preso lucciole per lanterne, ripeto, ho peccato di intellettualismo, lo stesso che a volte rimprovero con toni a volte irridenti, ai professionisti del “politicamente corretto”, antipatici cultori dell’ovvio.

Bisogna dunque vigilare, devo vigilare anche sulle derive del mio pensiero, che a volte con troppa facilità scivola su ciò che appare come più probabile, oppure ovvio, in qualche modo ritenendolo anche più opportuno, giusto o necessario. In questi casi filosofeggio male, con troppa fretta e usando stereotipi, quasi gli stessi che rimprovero, perché li usano correntemente, le persone politically correct, à la Boldrini.

Ed è una lezione intellettuale per me, o addirittura di esercizio delle facoltà cognitive, utilissimo per evitare il rischio dell’assuefazione, della scontatezza, del sapere standardizzato. Una bella lezione “filosofica”, che insegna a non “accontentarsi” mai, a dubitare, a metter in questione le cose senza stancarsi, come ci viene raccontato nei Dialoghi platonici si muovesse dialogicamente Socrate, come ci insegnano più di recente Wittgenstein e Gadamer.

Ad esempio, ora mi sto esercitando a pensare a quali possano essere gli esiti del referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo, ma non mi azzardo ad inforcare gli occhiali del veggente, come fanno molti giornalisti che, invece di raccontare ciò che è accaduto o sta accadendo, raccontano, a modo loro, i possibili scenari futuri o futuribili: se vince il no si dimette Renzi? si va a elezioni anticipate? che farà il Presidente della Repubblica? In un profluvio di noiosissimi wishful thinking, a seconda delle testate filo o anti-governative.

Penso che il difetto del mio pensiero nel caso americano sia stato quello di mescolare l’analisi filosofico-psicologica del voto, con i miei auspici, con la dimensione e la passione (se pur in questa fase assi flebile) politica: quest’ultima dimensione ha di fatto ottenebrato la lucidità del mio ragionamento, lo ha indebolito, quasi istupidito, cosicché oggi traggo un grande insegnamento,  metodologico e anche logico: quando si pensa, occorre decidere prima quali prospettive analitiche utilizzare, non confondendo mai i piani e gli strumenti come fltro di lettura delle situazioni e dei casi: se uso l’analisi socio-politico-economica è un conto, se quella filosofico-dialettica o linguistico-ermeneutica è un altro.

Cura dell’intellettualità, non intellettualismo e soprattutto non ideologismo, paraocchi pericolosissimo, se si vuol capire qualcosa. Lo scrivo prima di tutto per me, gentil lettore.

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