La forma di Dio
per i cristiani la forma di Dio è Cristo. Certamente Cristo-Persona, che manifesta il Padre nell’Incarnazione e anche nel limite umano.
Ma il termine “forma” va inteso pure nella sua accezione metafisica, come principio dell’essere, come potenza d’essere, come essenza stessa delle cose, in quanto loro natura (cf. Aristotele e Tommaso d’Aquino). La forma è tutto, sostanza più materia, determinata dallo spirito, cioè dalla potentia oboedentialis ordinata. E mi scuso anch’io, come fece milleseicento anni fa Sant’Agostino, dopo aver completato il De Trinitate, quando pregò il Signore Iddio di perdonarlo per aver osato cercare di capire anche con la ragione naturale ciò che è essenzialmente oggetto di fede.
Vi è un libro che ha il titolo stesso di questo pezzo, nel quale dodici studiosi riflettono su altrettanti capolavori pittorici a soggetto religioso, a partire dall’atto creazionale dell’uomo-adam, il fatto-di-terra, dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina.
Il secondo capitolo si riferisce all’Annunciazione dell’angelo Gabriele alla fanciulla nazarena, a Miriam promessa sposa di Iosef, opera conservata nel Museo Diocesano di Cortona, di fra’ Giovanni da Fiesole, il Beato Angelico, che illustra l’episodio raccontato da Luca (1, 26-38).
Il libro prosegue con la Natività di Gesù, come Giotto la presenta nella Cappella degli Scrovegni di Padova, in base alla narrazione lucana (2, 1-20), che ispira ( 2, 41-52) anche il quarto quadro, rappresentato dalla Sacra Famiglia del Tondo Doni di Michelangelo, conservato nella Galleria fiorentina degli Uffizi.
Vi è poi con l’episodio del Battesimo di Cristo di Piero della Francesca (ancora Luca 3, 21-32) esposto alla National Gallery di Londra, e con la Vocazione di Matteo del Caravaggio in San Luigi dei Francesi in quel di Roma, da Matteo 9, 9-13.
La Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, di Raffaello (Marco 9, 2-8) della Pinacoteca Vaticana costituisce il sesto evento illustrato e raccontato.
Di seguito: L’ultima cena di Leonardo (Marco 14, 12-25; Matteo 26, 17-29; Luca 22, 7-38; Giovanni 13, 1 – 17, 26) in Santa Maria delle Grazie a Milano; il Crocifisso (Marco 15, 22-39) di Cimabue, custodito a Firenze in Santa Croce; il Cristo morto (Marco 14, 1-9; 15, 42-47; 16, 1-7) di Andrea Mantegna presso la Pinacoteca di Brera; la Cena di Emmaus con i due viandanti che incontrano il Maestro, riconoscendolo solo dopo che se n’era andato, “fermati con noi che si fa sera” (Luca 24, 15-35) del Caravaggio esposta alla National Gallery di Londra; e pure la Cena di Emmaus, ma quella di Brera, sempre di Caravaggio.
E infine il Giudizio Universale (Matteo 25, 31-46) di Michelangelo, dipinto nella Sistina.
Tante forme dell’Uomo-Dio e del suo operare.
Gli scritti sono di teologi come il cardinale Martini, Piero Coda, Ermenegildo Manicardi, e studiosi come Vittorio Sgarbi, libro edito da Mondadori.
La forma di Dio è ricercata da sempre dal pensiero umano e ha costituito l’oggetto delle religioni e delle filosofie. Dio ha intrigato pensatori e genti di ogni tempo e luogo. La sua rappresentazione varia dall’iconografia cristiana a quella lussureggiante dell’oriente hindu-buddista, all’assenza di immagini caratteristica dell’islam. Nel nostro mondo le cose di Dio sono state raccontate con parole e immagini, anzi, per secoli, le “storie sacre” sono state immagini e detti, canti e laudi, musica e colori, tali che non si potrebbe concepire l’arte figurativa senza questa fonte formidabile.
Ma in fondo Dio sfugge a qualsiasi possibilità immaginativa umana, perché non si può descrivere, non si può neppur definire e quasi neanche dire. Perciò, dire che Dio ha una forma è semplicemente rispettare ciò che la forma è, in sé e per sé, pura espressione dell’essere che sussiste in quanto tale.
E non per altro.
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