Con-vivere, con-dividere, col-laborare, co-operare, con-versare
Verbi -composti- all’infinito che dicono come l’uomo debba cercare sempre, o quasi, di stare con i suoi simili nella vita e nel lavoro. Certamente anche la solitudine e la sua variante solitarietà hanno un valore: anacoreti, profeti itineranti, viandanti e viaggiatori, io stesso che con la bici mi sposto per decine di chilometri, non viviamo sempre quei verbi.
Di solito gli obiettivi e l’esigenza di fare “massa critica” accomunano gli esseri umani in progetti condivisi, che vanno portati avanti insieme perché richiedono energie e risorse superiori a quelle di una singola persona. Così è accaduto fin dai primordi tribali, nella fondazione delle prime città, nell’organizzazione di eserciti e di gruppi di lavoratori: come avrebbero potuto essere costruite le torri mesopotamiche (zigurrath) o le piramidi egizie, senza immense squadre di operai, capi e progettisti? E così via nel tempo storico.
Nel nostro tempo è ancora più vero che i verbi del titolo vanno declinati convintamente e continuamente. Proviamo a spiegarcelo.
CONVIVERE. Da quando abbiamo capito, dopo la fine dell’antropocentrismo, che siamo su un piccolo pianeta perso nell’immensità, abbiamo il dovere di pensare alla Terra come un luogo dove convivere… ma quanto è difficile! Nonostante il secolo scorso, fine del millennio, sia stato il più sanguinoso della storia umana, nel secolo attuale l’uomo continua a comportarsi come se non avesse capito niente. Solo alla bomba atomica pare sia stata messa la sordina, fatta salva la tremenda possibilità che qualche pazzoide non la usi, più o meno “sporca” o potente.
CONDIVIDERE. Nord e Sud del mondo non condividono, ma si dividono ancora, con una distribuzione delle risorse assolutamente inadeguata e ingiusta e, come non bastasse, di nuovo si guardano in cagnesco pezzi di Est e di Ovest, con geometrie variabili. Culture e religioni contribuiscono a dividere ulteriormente gli esseri umani, rinfocolandosi odi e spiriti di vendetta difficilmente arginabili.
COLLABORARE. Ho scritto sopra che l’uomo non va da nessuna parte se non ammette di aver bisogno di collaborare con i suoi simili. Lo constato quotidianamente dove opero, in aziende, luoghi della formazione, iniziative socio-culturali. Oggi si sprecano sintagmi inglesi per dire che bisogna lavorare insieme, accettando e apprezzando le differenze individuali e valorizzando talenti e vocazioni, ma spesso termini come Team building, Team work, belli e simpatici da dire, lasciano il tempo che trovano, perché sentimenti come l’egoismo, l’egocentrismo o addirittura l’egolatria di chi si trova in posizioni di potere, rendono vane e vuote di significato espressioni come quelle citate.
COOPERARE. Operare insieme è uno sviluppo collaborativo. Nella cooperazione, ognuno deve sentirsi parte importante del gruppo, sapendo che il successo proprio è nel contempo il successo degli altri, non il contrario. Nessuno può pensare di farcela da solo, neanche a cambiare una gomma d’auto nel freddo e nel vento.
CONVERSARE. Concludo con questo verbo, perché tra tutti, a parer mio, è il più importante. Conversare, sia nella modalità del colloquio amicale, sia nella modalità del dialogo, più stringente e impegnativo. Ambedue le modalità necessitano però di un requisito fondamentale, il riconoscimento reciproco tra le persone, cioè l’accettazione dell’unicità di ogni interlocutore e il suo valore. Se non c’è questa condizione, ogni dialogo perde di significato e diventa un vuoto esercizio di parole, in tempi in cui lo spreco e quasi il dileggio del linguaggio umano sono al massimo.
E infine, occorre dire che abbiamo tempo, visto che siamo come siamo solo da pochissimo tempo rispetto all’età della Terra e dell’Universo, ci spiegano i cosmologi: se facciamo conto che il tempo del mondo sia proporzionato a una giornata, il tempo dell’uomo è paragonabile solo agli ultimi ventitré secondi della giornata stessa. Un soffio, di umiltà.
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