Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Colloqui e soliloqui, o di come “aspectus Animae Ratio sit”, cioè di come “lo sguardo dell’anima sia la ragione”

soliloquiaLeggo sant’Agostino come viatico per la buona notte e il buon risveglio. Già incontrai i Soliloquia durante gli studi teologici, ma ora ne ho una copia dell’editrice Lorenzo Valla, tradotta e commentata da un maestro, l’insigne patrologo Manlio Simonetti, nella cui linea disciplinare mi inserisco.

Già il genere letterario cui afferisce il volume è assolutamente nuovo, quantomeno per quanto attiene ai “personaggi” presenti. Non si tratta di due o più interlocutori diversi, come nei dialoghi platonici, dove, oltre a Socrate, poteva esserci Critone, Crizia, Gorgia, Lachete, Protagora, Alcibiade, Diotima o altri. In questo caso, milleseicento anni prima di Freud il dialogo si svolge tra l’autore, Aurelio Agostino da Tagaste/ Cassiciacum/ Ippona e la sua Ragione, o Mente, o Anima. Ed è per questo che il titolo è “soliloqui”.

Agostino riflette su se stesso aiutato da “se stesso”, costruendo un dialogo tra il proprio “io” e il proprio “sé” come fossero due persone distinte, con un marchingegno retorico geniale ed efficacissimo. Nulla a che fare con sdoppiamenti schizoidi di personalità, ma un vero e proprio ragionare come se si stesse giocando a scacchi andando a fare la mossa una volta di qua e una volta di là del tavolo.

Si chiede come l’uomo possa conoscere la verità delle cose e come possa conoscere Dio, e la Ragione lo conduce, pazientemente, lungo l’itinerario dell’argomentazione logica di stampo platonico-aristotelico, ponendo premesse e deducendo conclusioni , appunto, razionali. Mi interessa proporre al mio gentil lettore un metodo, antico e ancora validissimo, di interlocuzione e di ricerca del vero, per riprendere il gusto del ragionamento e della riflessione, il piacere del rinforzo e della confutazione, la soddisfazione di un progresso conoscitivo e relazionale.

Per Agostino, posto che Dio è conoscibile solo in qualche modo, incompleto e debole, lavora con straordinarie metafore per tentare di spiegare a se stesso come possa darsi: ad esempio paragonando il “divino” alla luce del sole che illumina la terra, per cui si possono vedere tutte le cose, ma non si può fissare il sole, pena la perdita della vista. In qualche modo Dio è inaccessibile ai sensi spirituali dell’uomo, come il sole è direttamente inaccessibile ai sensi fisici. In Esodo (33) sta scritto che non si può vedere Dio e rimanere in vita, e san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (13,12) spiega che l’uomo può conoscere solo come attraverso uno specchio e per enigmi, ma nella dimensione beatifica, potrà conoscerlo direttamente.

Di seguito l’invocazione orante che il filosofo rivolge a Dio per poter essere illuminato di sapienza:

(Soliloquia 1.2.) O Dio, creatore dell’universo, concedimi prima di tutto che io ti preghi bene, quindi che mi renda degno di essere esaudito, ed infine di ottenere da te la redenzione. O Dio, per la cui potenza tutte le cose che da sé non sarebbero, si muovono verso l’essere; o Dio, che non permetti che cessi d’essere neanche quella realtà i cui elementi hanno in sé le condizioni di distruggersi a vicenda; o Dio, che hai creato dal nulla questo mondo di cui gli occhi di tutti avvertono l’alta armonia; o Dio, che non fai il male ma lo permetti perché non avvenga il male peggiore; o Dio, che manifesti a pochi, i quali si rivolgono a ciò che veramente è, che il male non è reale; o Dio, per la cui potenza l’universo, nonostante la parte non adatta al fine, egualmente lo raggiunge; o Dio, dal quale la dissimilitudine non produce l’estrema dissoluzione poiché le cose peggiori si armonizzano con le migliori; o Dio, che sei amato da ogni essere che può amare, ne sia esso cosciente o no; o Dio, nel quale sono tutte le cose ma che la deformità esistente nell’universo non rende deforme né il male meno perfetto né l’errore meno vero; o Dio, che hai voluto che soltanto gli spiriti puri conoscessero il vero; o Dio, padre della verità, padre della sapienza, padre della vera e somma vita, padre della beatitudine, padre del bene e del bello, padre della luce intelligibile, padre del nostro risveglio e della nostra illuminazione, padre della caparra mediante la quale siamo ammoniti di ritornare a te: ti invoco.

E così salutiamo Agostino, riprendendo il nostro cammino colloquiale con il mondo e con la vita nostra quotidiana…

e, anche nella ricerca scientifica, sia credente in Dio o meno, l’uomo avanza per prove ed errori, cosicché ogni generazione può superare in conoscenza quella precedente, ma a quest’ultima deve essere grata per il cammino fatto e da cui procede, sviluppando la conoscenza collettiva.

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