Le case di via Feletto
tu racconti e racconti, sempre osservando, da protagonista a volte discosto, scegliendo anche la terza persona, e ogni tanto chiamandoti per nome, oppure parlando di papà maresciallo del “Mantova” alla caserma Cavarzerani. E poi gli altri, le ragazze e i ragazzi dei condomini, Greta la bella, la corsa in Lambretta e il volo nell’erba con l’afrore della giovinezza nelle mani di Ezio. Come descrivi bene il climax (eeeh l’eredità di piazza I Maggio!) ascendente e quello discendente dell’emozione di Ezio per la corsa in Lambretta con la bella del quartiere. Nel tuo libro Le case di via Feletto, le case Incis, dove hai vissuto da bimbo e da ragazzo, a Udine.
Eravamo allo Stellini in sezione F cinquant’anni fa, la quarta ginnasio, tu figlio di un maresciallo dell’esercito, io di un operaio, il greco il latino, la professoressa Vacchiano, don Annibale, il prof Manzoni di filosofia, culto e ironico, e il suo successore D’Osualdo, men colto e incazzoso, la Veneroso-Zuccato di greco e latino, amante del porno-soft classico, Loretta, Nando, Daniela, Massimo, Maila, Martino, Laura, Cinzia, Barbara, Aldo, Gianni, Giuseppe, Vinicio, Francesco, Alberto, Elsa, Ornella, Piera, Luisella, Ilva, Enrico, Rosella, Patty, durata poco con noi, Carmen, Anna, Eugenia-Geny, Loredana-Leonzia, Claudio, che è arrivato dopo ed è ancora lì, in piazza Primo Maggio, e chi altri? Perfin Noè, o il dispettoso Enzino che buttò nella roggia il “quadernaccio”? … e poi il professor Cepparo di chimica e il preside Vigevani e il prodromi del ’68, con i militanti e le loro belle, oggi assurte anche in Parlamento, e molto men belle, forse rifatte. Eh Eh.
Qui esco dalla quotidiana tragedia e anche dalla commedia, scegliendo l’elegia del ricordo, del riportare al cuore la memoria di cose accadute mezzo secolo fa. Sembra impossibile, eravamo ragazzini, oggi signori in età, tu in pensione da generale dei Carabinieri e ancora attivo, io ancora in pieno lavoro. Che bello. Oggi non parlo di guerre attuali orrende e di valanghe, di omicidi e di malignità, ma delle nostre vite, ancora qui a dipanarsi, lente o veloci che siano.
Straordinario il racconto lungo del camion militare con tuo padre scivolato in un giorno da tregenda nel Natisone, e la paura e la salvezza. Narri la sapienza del vecchio colonnello e l’arida malizia del maggiore, mostrando come anche l’ambiente militare sia uno spaccato della normale umanità. Piace la figura di tuo padre, onest’uomo e valoroso in divisa. Combattente, come mio padre, della Seconda grande guerra. A proposito, solo un cenno a Pietro: sai che io sto scrivendo ora perché mio padre, aggredito da un partigiano greco si difese all’arma bianca? Me lo raccontò che avevo già compiuto vent’anni, parlando di una “guerra dalla parte sbagliata”.
La malignità è come una cosa contro Dio, e qualcuno pensa sia in qualche modo sua opera (Isaia 45, 7), in un certo senso, pur se Agostino spiega che il male che appare è solo una misura di male minore ad peiorem vitandum. Chissà…
E la storia di Vincenzo, “Il buio”, potente rappresentazione di ciò che nessun genitore deve fare, identificare le proprie frustrazioni in una possibilità di riscatto attraverso un figlio. L’irriducibile differenza di ogni uomo e donna da qualsiasi altro/ altra spiega con semplicità come non si debba usare violenza contro la personalità e la vocazione individuale. Non occorre diventare per forza ingegneri, se si preferisce un risveglio prima dell’alba per scaricar verdura e frutta al mercato. Vincenzo se ne va nel buio perché gli è stata tolta ogni luce, e dai genitori, che in alcuni casi diventano pericolosi. E tu lo racconti.
La storia della mamma Brigida, che si opera, e lì manifesti nell’affetto ansioso del bimbo che eri anche tutto il tuo sapere medico, abbandonato per un innamoramento più forte, quello per l’Arma. La narrazione del dolore, anche altrui, si fa più delicata, come quando racconti della moglie del sergente maggiore manesco e iracondo. Belli gli scorci di vita militar-mondana di quegli anni, quando il Friuli era terra di aspra contesa, ove fosse scoppiata una guerra con l’Est, allora “oriente” minaccioso e cupo.
E poi quando accoglie nonna Angelina, palermitana come lei, che non ama molto le friulane, ché son fredde, ma tua mamma non è d’accordo e si dice ormai friulana anche lei, in questa terra lontana, ma buona, difficile, ma accogliente; niente a che vedere con lo splendore di Sicilia, ma più segretamente, più nascostamente bella. Brigida diventa “friulana” con Pippo, con Angelo e Sergio, questo è.
E infine la storia del telefono di casa in duplex con i signori Tenerelli, che avevano la figlia incinta e non si poteva sposare perché il fidanzato, carabiniere, aveva solo ventisei anni. E allora, prima matrimonio in chiesa, poi nascita del bimbo figlio di n.n. con grande vergogna, finché sarebbe stato possibile registrare il bimbo a Caronia, e il padre gli avrebbe dato il proprio cognome.
Storie di un’Italia che si stava ancora facendo, cent’anni dopo l’unificazione, o poco più, un’Italia piena di belle volontà e brave persone, piena di speranza. A Udine, nella piccola e discosta Udine, dove i militari del sud imparavano ad ascoltare una lingua dura e cruda, e a bere un tajut di vino nelle care vecchie osterie del centro e del contado.
Poi ci siamo incontrati al nobile Regio Ginnasio Liceo, e persi per quasi mezzo secolo. Ora mi sembra quasi di conoscere Pippo e Brigida, allora ancor giovani, epperò forever young, perché sub specie aeternitatis nulla si perde, tutto resta per sempre, immortale. Così come tracce di Dio nell’esistenza: nello spazio inesauribile che va dall’uno al nulla, Ulissidi cerchiamo.
A prest, Sergio, mandi, cioè che Diu ti conservi san te e i tiei cjars.
Post correlati
2 Comments
Leave a Reply
Carissimo Renato, ti leggo con commozione neanche tanto nascosta! E considero che nella tua benevolenza hai dato dignità e maggiore forza al mio raglio d’asino.
Hai fatto tuoi, con straordinaria chiarezza, i sentimenti e le atmosfere che ho raccontato a fatica… e mi fa piacere sentirti ripetere che tutto ciò che è accaduto resta per sempre: è terapeutico… Grazie di cuore, amico mio.
Mandi e a presto
Che piacere rivivere un tempo passato ma sempre presente nella memoria. Proprio stasera ripensavo ad Angelo amico d’infanzia e di famiglia, una grande famiglia, quella di alcuni sottufficiali della caserma Cavarzerani di Udine, allo “zio” Pippo ed alla “zia” Brigida mia madrina di battesimo ed a Sergio, il piccolo Sergio, timido e riservato. Erano i primi anni ’50…poi ci vedevamo più di rado da quando papà Mimmo si trasferì a S. Stefano di Cadore dove si formava un nuovo distaccamento di fanteria alpina e finalmente riuscimmo ad avere anche noi una casa e papà, in paese, diventò il Maresciallo!…in seguito la vita ci separò definitivamente, il trasferimento nel ’62 a Bologna e la morte prematura di mia madre disgregò la mia famiglia…..beh…. di Angelo Di Giovanni non sono riuscito a trovare tracce su internet ed ho provato con Sergio….ed ho trovato addirittura un Generale dei Carabinieri ed uno scrittore…bravo Sergio! Complimenti ! Grazie anche a te Renato …mi hai riportato in famiglia!