Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Autoritarismo e autorevolezza nell’assertività

Nelle scienze psicologiche e delle organizzazioni si distingue rigorosamente tra autoritarismo e autorevolezza, posto che i due termini hanno la medesima radice latina di autorità, cioè il verbo augeo, augere, crescere. La stessa scienza della crescita dei bambini, si dice auxologia nell’ambito della pediatria.

Nella formazione aziendale si lavora molto sulla crescita dell’autorevolezza dei capi, cioè sulla costruzione di un certo carisma, di una leadership percepibile ed efficace da parte di collaboratori e superiori.

In realtà, forse, questa polarizzazione tra una dimensione apprezzabile e da curare (l’autorevolezza) e una dimensione difettosa o dannosa (l’autoritarismo), può risultare a volte eccessiva e poco realistica. Nelle cose, infatti, si osservano fenomeni ed esiti a volte non classificabili con nettezza in un campo o nell’altro.

Sto svolgendo un’analisi del clima aziendale in una società industriale prestigiosa, insieme con un giovane psicologo. Il fatto che ci sta un poco sorprendendo è questo: molti dipendenti interpellati sulla qualità dei capi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni, sottolineano quasi in coro di avere preferito e di preferire lo stile forte e quasi autoritario di alcuni di essi, piuttosto che uno stile di conduzione più morbido.

Parrebbe dunque che il tanto celebrato stile partecipativo di una leadership non verticistica sia da sottoporre a una qualche critica. Personalmente non ritengo che cent’anni di ricerche e di sperimentazioni socio-organizzative, che hanno permesso di far crescere una cultura della partecipazione alle attività d’impresa da parte di una platea sempre più larga di lavoratori sempre più scolarizzati, possano essere teoreticamente o perfino praticamente vanificati da questi output sorprendenti, ma…

L’avversativa ci suggerisce forse, anche in base a questa ricerca, di superare alcuni clichès un poco buonisti, manualistici e un tantino standardizzati. Infatti, sappiamo che la conduzione dei gruppi di lavoro, di studio, di preghiera, e gli stessi reparti militari è caratterizzata dalle qualità personali dei capi, mai categorizzabili in tassonomie binarie, come l’autorevolezza e l’autoritarismo.

Conosco capi azienda o responsabili di altri settori che, con uno stile direttivo e a volte autoritario, hanno conquistato una credibilità ed espresso un’indubbia efficacia nei confronti degli ambiti di responsabilità e delle risorse umane affidate. Vi è da dire che non si può non considerare anche il fattore “destinatari” delle azioni di comando. Una sana analisi antropologica ci spiega, da un lato l’assoluta irriducibile unicità dei soggetti umani, dall’altro la numerosità di persone caratterizzate da un carattere o temperamento gregario e tendente all’affidamento. Se questo è sperimentabile anche dai dati storici, basti elencare un certo numero di capi e leader politici, religiosi e militari, appare come necessario che vi siano personalità che spiccano più di altre e si manifestano come più adatte a guidare i loro consimili umani.

Pertanto, non deve scandalizzare nessuna anima bella, che sia utile cominciare a ridefinire su basi più vere il reale rapporto tra le due polarità del titolo. In altre parole vi possono essere persone autoritarie che fondano il loro stile su un autentico sapere umano e professionale, su un’etica coerente e trasparente, su una testimonianza di vita legata armoniosamente allo stile espressivo della propria umanità.

Ciò che conta, in definitiva, non sono le smancerie partecipative e buoniste di coloro che scambiano una struttura produttiva con un luogo assembleare, ma  la verità di leadership vere, capaci di manifestarsi come tali, anche talora in modo brusco e sbrigativo, ma profondamente onesto.  Forse allora il punto critico di una formazione alla leadership è l’assertività, cioè la capacità di acquisire saperi e modalità espressive di cui si è convinti, per cui si riesce ad essere convincenti. E dunque, capi utili a tutti.

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7 Comments

  1. Sono assolutamente d’accordo sulla fine del buonismo o finto buonismo in azienda, sull’eccesso di partecipazione e di cultura della condivisione generalizzata. Le organizzazioni oggi sono sempre più chiamate a reagure rapidamente a cambiamenti strutturali sia endogeni che esogeni e sempre più la velocità diventa elemento vincente nelle relazioni e nelle decisioni. In questo contesto è, secondo me, piu importante la capacità del capo di dare risposte organizzative che mettano i collaboratori, spesso gregari, nelle condizioni migliori di svolgere quanto loro richiesto. In questo senso, secondo me, la leadership è oggi capacità di dare risposte organizzative concrete ai propri collaboratori, creando le condizioni per poter svolgere quanto richiesto con prospettiva di successo. Carisma autoritarismo e autorevolezza sono una parte della questione.

  2. Costa fatica partecipare e avere delle responsabilità. È più comodo eseguire un ordine perentorio e senza tante responsabilità.

  3. Sono contento, Lorenzo, che condividiamo questo tema in modo molto concreto… poi la differenza in qualità la fanno sempre le persone, la loro capacità e perfino la purezza di cuore, come insegnava il Maestro di Nazaret.

  4. D’accordo con Renato e con Lorenzo! Tutto dipende fortemente dalla “platea” e dalle capacità intrinseche del capo. Situazione di quel momento e contesto sono parametri che dovrà saper leggere, così come dovrà possedere la reale conoscenza delle persone del suo team. E’ lo stesso capo che deve capire con cosa e con chi ha a che fare ed usare di conseguenza modalità e approcci efficaci; la strategia che adotterà scaturirà dal proprio stile basato su “un autentico sapere umano e professionale, su un’etica coerente e trasparente, su una testimonianza di vita legata armoniosamente allo stile espressivo della propria umanità”, di conseguenza difficilmente fallirà!
    In situazioni estreme potrà succedere che arrivi qualche “urlata” … che comunque sarà capita ed accettata, anzi diverrà un insegnamento!

  5. E’autorevole il Capo/Comandante se, anche quando opera con autoritarismo, è credibile per professionalità, onestà e correttezza ( e rimane se stesso, direbbe Sun Tzu). I dipendenti ricordano con piacere i Superiori duri, bruschi e “da prendere con le molle”, quando riconoscono che l’autoritarismo subito li ha resi in qualche modo partecipi della lidership del Capo, li ha preservati e difesi in circostanze difficili sotto il profilo lavorativo e/o personale, li ha fatti crescere ed irrobustire nel loro impegno giornaliero, ne ha rafforzato lo spirito di corpo/ reparto, migliorandoli. Se è accaduto così- e soltanto così- possiamo dire che l’autoritarismo è stato efficienza, efficacia ed energia positiva che ha rinsaldato e corroborato la compagine lavorativa. Una sorta di autorevolezza illuminata.

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