Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

La metafora del treno

A chiusura di un seminario sui principi etici da me svolto in una grande azienda friulana, il mio amico ingegner Fabio, direttore tecnico, propone una metafora meravigliosa, quella del treno. Avevamo parlato di come si accoglie un nuovo collega e di come il nuovo collega si deve comportare nel nuovo ambiente di lavoro, sottolineando l’esigenza dell’umiltà, del rispetto e del riconoscimento reciproco, indispensabili per costruire e rinforzare i gruppi di lavoro.

A fine seminario, Fabio prende la parola e dice: “Io immagino l’azienda come un treno, che parte da Parigi, destinazione Roma, o Istanbul, o Berlino, o Mosca, non importa. Il treno è l’azienda; parte con delle persone, con i macchinisti, i conduttori, gli assistenti e con i viaggiatori che salgono alla stazione di partenza. Poi viaggia e viaggia, è un treno importante, che si ferma solo nelle stazioni principali; a ogni stazione salgono nuovi passeggeri e scendono persone giunte alla meta. Il treno viaggiando veloce squarcia cortili e paesaggi, attraversa pianure e montagne, entra in buie gallerie e cavalca arditi viadotti, ma ogni tanto si ferma per accogliere nuovi viaggiatori. Cambiano gli orizzonti e le lingue parlate, viene sera e poi la notte… e va e va.”

E il racconto di Fabio poteva continuare, ma lui voleva far cogliere la metafora, la simbologia di un percorso condiviso, su un mezzo di trasporto condiviso, che pone tutti sullo stesso vettore in corsa, tutti a con-vivere l’abbrivio della velocità e del cambiamento.

Può essere il treno in corsa una metafora dell’azienda? Pare proprio di sì, perché anche l’azienda è un mezzo, non un fine, non una meta, è un mezzo mediante il quale si raggiungono fini, mete, tra le quali due spiccano: il successo del business e la distribuzione equa delle risorse guadagnate.

Anche se i passeggeri, i viandanti, cioè i dipendenti possono avere diverse aspirazioni, vocazioni, talenti, stando insieme devono condividere un progetto, un tragitto, il medesimo del capotreno o del proprietario della linea, non un altro. Per questo duole quando qualcuno scende dal treno in corsa, magari dopo aver inopinatamente tirato il freno e fatto danni, e si fa male.

E allora, torniamo alla figura del treno che viaggia durante il giorno e durante la notte, così come anche le aziende fanno i turni, e alcune anche i 21, cioè il ciclo continuo. Una volta che si parte bisogna condividere il percorso, oltre che la meta. Il passeggero che compra il biglietto per una meta è come il lavoratore che cerca e accetta l’assunzione, assumendosi doveri e nel contempo chiedendo il rispetto di diritti.

Ecco: il treno ha un suo regolamento, ha linee guida che ne determinano la conduzione, così come l’azienda. Né il treno né l’azienda possono essere lasciati in balia di improvvisatori, ché ambedue corrono su binari studiati, gli uni sulla morfologia e la geologia dei territori, gli altri sui disegni e sui progetti di sviluppo e sui mercati dove competere.

Ma vi è un soggetto che prevale sul treno e sull’azienda: l’uomo, con tutti i suoi sogni e le sue debolezze, con la sua forza e la sua fragilità, l’uomo al comando del treno e il curioso passeggero, il titolare d’azienda e il ragazzo assunto in somministrazione.

Il fine (e la fine) del viaggio da un lato, ma come stazione intermedia per nuovi viaggi; il risultato aziendale dall’altro, che se positivo permette di ripartire per nuove stagioni di lavoro.

Un viaggiare comunque dentro la storia, ma soprattutto dentro la vita, dandole orientamento e senso.

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