Dj Fabo, il valore della vita e la libertà
La foto del vicebrigadiere Salvo D’Aquisto sarà molto chiara al lettore, alla fine del post, e fors’anche ora, subito.
La morte in Svizzera di Dj Fabo e la sua aspra mediatizzazione riapre la discussione sul tema del fine vita, purtroppo svolta in un modo generalmente non riflessivo, dialogico e dignitoso per l’alto valore dell’argomento.
Personalmente ho seguito la scelta con rispetto e in silenzio, pur avendo sull’argomento alcune idee di etica filosofica, che non coincidono con l’itinerario percorso dal ragazzo. Ad esempio, altre persone hanno fatto scelte diverse dalle sue. In ogni caso, fossi stato nella sua situazione, non so che cosa avrei fatto.
Ma non vi è ragione o torto, vi è una condizione diversamente percepita, specie oggi che la possibilità di sopravvivenza dopo incidenti gravi o malattie irreversibili si è notevolmente allungata, ponendo quindi questioni e domande ineludibili sulla vita e la sua sostenibilità-accettabilità qualitativa.
Con Epicuro e con mio padre, so che la com-presenza della morte e della nostra coscienza è impossibile, e pertanto una riflessione seria deve ricomprendere insieme -come oggetto- la vita e la morte, come suo ultimo momento terreno.
Circa il valore della vita e della vita umana si scrive da millenni, in Occidente e in Oriente, con conclusioni molto diversificate: in Oriente la vita fa essenzialmente parte del Tutto divino ed è considerata proprio in questa prospettiva, dove l’individualità è un qualcosa che non possiede in sé valore particolare; in Occidente, per contro, con la grande filosofia greca e la lezione evangelica, la persona singola è assurta a una dignità notevolissima, quasi assoluta. La persona è il singolo uomo auto-cosciente, libero della libertà relativa al suo limite, specie se si declina il concetto di libertà come un “volere ciò che si fa”, non con il suo contrario.
Anche in Occidente, però, a partire dallo sviluppo delle filosofie soggettivistiche dal XVII secolo, ha progressivamente perso terreno la visione classica di una vita come dono, che si riceve e non si possiede del tutto, ma su cui si ha un mandato di tutela e conservazione (soprattutto per la dottrina morale cristiano-cattolica e ortodossa).
Si può dire che dalla lezione di Descartes, con un’accentuazione quasi parossistica a partire dal XIX e dal XX secolo, soprattutto con le filosofie politiche del liberalismo e del radicalismo di lì derivante, la scelta soggettiva-individuale sembra avere avuto ragione di ogni altra riflessione di merito sul valore della vita, come dato su cui non poter esercitare un diritto di possesso analogo a quello esercitato sulle cose.
Oggi si discute di fine vita intendendo spesso cose diverse, riferite ad almeno quattro o cinque orientamenti, qui proposti in un ordine, potremmo dire, sempre più “libertario”: a) cure palliative e lenitive del dolore, b) non accanimento terapeutico, c) cessazione di alimentazione e idratazione forzata o eutanasia passiva, d) suicidio assistito, e) eutanasia attiva.
Il tema del testamento biologico, che è di per sé una scelta etica e non solo biologica è all’ordine del giorno in Italia da anni, senza esito.
Detto ciò nella forma più stringata e netta possibile, osservo come si faccia una grande fatica a mantenere la discussione pubblica su un versante dialogico corretto e rispettoso, ma invece si proceda spesso con punte di violenza verbale e di qualunquismo pressapochista quasi insopportabili, come in certe trasmissioni radiofoniche, pur se di prestigiose emittenti, come Radio24. Questa sera, infatti, di ritorno da Bologna, ho avuto modo di ascoltare i dibattiti a dir poco surreali, e li definisco così per non parlare di un certo voltastomaco, de La zanzara. Impressionanti, soprattutto, le testimonianze di chi del fine vita sta facendo un lucroso business privato.
Tale Coveri, dell’associazione Exit, interpellato da un attore che si è finto depresso per verificare le pratiche suicidiarie in Svizzera, non si è visto rivolgere neppure una parola di conforto dal citato “misericordioso” esponente, ma semplicemente è stato reso edotto circa una maggiore complessità delle pratiche relative a propositi suicidi da parte di un depresso: cartelle cliniche di psichiatri, che però devono essere tenuti all’oscuro delle reali intenzioni del depresso, perché altrimenti (“quegli stronzi”, parole del signore di cui sopra) potrebbero edulcorare la diagnosi e porre così ostacoli alla procedura. E poi la parte economica: 10.000 euro tutto compreso, fino alla cremazione.
Un conduttore della trasmissione poi, non so quanto candidamente o quanto intenzionalmente, accentuava il concetto del servizio alla persona che, se non previsto dallo stato, ovviamente viene preso in mano dai privati.
Questi signori discutevano della vita umana come se stessero parlando di noccioline. Facevo quasi fatica a pensare di star ascoltando una trasmissione di larga audience, ma forse è proprio per questo che la trasmissione derivava in quel modo.
Nessun cenno alla cura della persona, all’empatia, all’amicizia, alla riflessione sui valori, sul bene, nulla. E mi son detto: quanto lavoro per la filosofia pratica in un mondo che non ha più la forza di ragionare.
Infine Saviano che scrive una lettera di scuse degli italiani verso Fabo, una lettera di scuse!, ma chi si crede di essere? E Vespa l’immarcescibile, non passa, non va via.
Lo dico a chi mi leggesse e si trovasse in difficoltà: scriva a me non a quei signori qui sopra citati. Auguro una pace luminosa a Fabiano, e il dono del consiglio a chi non usa il ragionamento, ma la semplificazione e l’insulto. Buona notte.
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