Il Sorpasso e la Zanzara
Se ci chiediamo quale possa essere un film emblematico dell’Italia del secondo dopoguerra, come spiega bene Alberto Crespi (cf. Storia d’Italia in 15 film, GLF-Laterza, 2016), si potrebbe scegliere Il sorpasso, diretto da Dino Risi nel 1962, con Vittorio Gassman e Jean Louis Trintignant protagonisti. Emblematico, ma fino a un certo punto, e vedremo perché.
In una Roma ferragostana lo scenario deserto di macchine e pedoni è molto diverso da quello attuale, più caotico e forse confuso, e la campagna, allora, “cominciava prima”. Bruno Cortona (Vittorio Gassman), quarantenne forte e pigro, automobilista “di mestiere”, un po’ spaccone e donnaiolo, guida la più bella auto del tempo, una Lancia Aurelia B24 cabriolet. Sta andando in cerca di un pacchetto di sigarette e di un telefono pubblico. Incontra Roberto Mariani, studente universitario rimasto in città per preparare gli esami. Dopo la telefonata, Bruno chiede a Roberto di fargli compagnia: i due, sulla spinta dell’esuberanza e dell’invadenza di Bruno, intraprendono un viaggio in auto lungo la via Aurelia correndo forte, e vanno verso Castiglioncello sulla costa toscana. Viaggiando fanno vari incontri con parenti e familiari di “vite precedenti”. Roberto vorrebbe separarsi da Bruno, ma per varie ragioni resta con lui, quasi misurandosi con l’ignoto di un rapporto nuovo, ma vi è una tragica conclusione: durante l’ennesimo sorpasso temerario, perché l’auto si scontra con un camion e precipita in un burrone. Bruno si getta fuori dall’auto salvandosi, mentre Roberto perde la vita. Agli agenti intervenuti Bruno confesserà di non conoscere neppure il cognome del suo passeggero. (mia parafrasi dal racconto riportato su Wikipedia)
I miei dubbi sulla rappresentatività del film di “tutta” quell’Italia, è che l’Italia non era a quel tempo e non è oggi solo Roma o le altre città, ma è ancora di più contado, montagna, colline a distesa, paesini di mare su coste lunghissime e frastagliate, culture e idiomi diversissimi. Proviamo a immaginare “il sorpasso” nella Pordenone dei primi anni ’60, sarebbe improponibile. In quegli anni si stava formando la nuova classe sociale, marxianamente parlando, dei metal-mezzadri, contadini che diventavano operai alla Rex, cioè alla Zanussi, ora Electrolux. E gli esempi di questa multiforme ricchezza antropologica e socio-economica potrebbero riempire molto di più di questo breve scritto.
In conclusione, sì, Il sorpasso è certamente simbolo dell’Italia del boom economico, ma non del tutto (grazie a Dio).
Per altri aspetti della contemporaneità la trasmissione di Radio 24 La Zanzara, può essere trattata analogamente. Questa trasmissione è rappresentativa, è uno spaccato della “cultura popolare” italiana di oggi? Lo è certamente, ma se lo fosse del tutto o quasi ci sarebbe da votarsi a Dio. Specialmente nell’ultimo periodo e su argomenti particolarmente delicati o di ampio impatto come l’etica della vita umana, i costumi, le politiche sociali, la cultura popolare, la deriva terminologico-espressiva dei due conduttori è caduta a un livello talmente basso da superare ogni soglia della decenza, del buon senso e del buon gusto. Anche un certo turpiloquio può essere ammesso, se in qualche modo vigilato e posto quasi in una sorta di epochè (husserliana), tra parentesi, in meta-posizione, come un oggetto in mostra (cf. capolavoro, si fa per dire, di Piero Manzoni), ma non può diventare il basso continuo di due ore e mezza di trasmissione, il codice linguistico-espressivo, dove tutto è ammesso, concesso, permesso. Non vi sono filtri, non vi sono limiti, ultimamente si è sentita anche una bestemmia, in mezzo al dilagare della coprolalia, del genericismo assertorio, della semplificazione più biecamente pigra, dell’evitamento sistematico di ogni ragionamento degno di questo nome. Et de quo satis.
Meno male che il pur ampissimo parco di ascoltatori, tra cui io stesso con i dovuti filtri critici, non rappresenta che una parte della cultura popolare e della sensibilità estetico-morale degli Italiani. Ma fa pure sempre pensare la quantità di partecipazione al “brutto” proposto e messo in mostra da Cruciani e Parenzo, che certamente recitano parti diverse in commedia, ma forse a questo punto, non si rendono del tutto conto del superamento di limiti da considerare, non per moralismo, ma almeno, e non sarebbe poco, per senso estetico, nella sua accezione più profonda e filosofica.
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