Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

in vinculis

Una dopo l’altra le porte blindate si chiudono dietro a me, tre, quattro, cinque… e forse basta.

Avevo atteso mezz’ora all’entrata perché il computer non partiva, e senza la conferma registrata della mia visita, non potevo entrare. Espletate tutte le formalità: deposito di tutti gli oggetti in stipetto chiuso a chiave (l’unico oggetto concessomi di tenere con me), compreso la catenina con il crocifisso, e “subìta” la perquisizione corporale, sono entrato.

Ecco il parlatorio. Sul muro un a-fresco, anzi un trompe l’oeil che rappresenta Bambi e i suoi amici, coloratissimo.

Attendo uno, due minuti, e arriva il mio vecchio amico di gioventù. Ho il tempo di riflettere un poco sul tempo: l’orologio a muro ha le lancette dei secondi ferme, ma funziona.

Abbiamo quattro ore abbondanti e parla quasi sempre lui, ha bisogno di esprimere la sua verità reclusa, intercalando il fluire dei discorsi con citazioni di film, di libri, di dottrine etico-politiche, di etica e teologia morale. Si parla del determinismo spinoziano e del volontarismo ottocentesco, di Hegel e di Heidegger, di Nietzsche e di Husserl, di Freud e di Florenskij, di Edith Stein e di papa Wojtyla, dei fratelli Bandiera e di Piero Maroncelli, della Baader-Meinhof e di Camilo Torres. Dei “crollisti”, rispetto al futuro del capitalismo, e dei gradualisti della Seconda Internazionale, della Luxenburg e di Karl Kautsky, di Piero Sraffa, Gobetti e Antonio Gramsci, di Labriola, di Croce e Gentile, di Emilio e Vittorio Sereni, di Piero Jahier e Scipio Slataper, di Ungaretti, Clemente Rebora e Leopardi, di Renzi, Mussi (perfino!) e Mussolini, di finanza e di economia, di Fellini e  De Sica, di lavoro produttivo e subappalti. Solo per dire alcuni titoli e argomenti, tra molti di più.

Il tempo a volte sembra volare a volte fermarsi, kairo-kronologicamente, agostinianamente, o come spiega David A. Armstrong, nel suo aureo libretto sulla Metafisica (edito da Carocci nella serie Quality Paperbacks, nel 2010).

Ganser è il nome di chi ha studiato questo parlare ininterrotto, inesauribile, come fonte che zampilla perenne da un’anima inquieta, da un sentimento fortissimo di presunzione anche arrogante, del vero. Provo a fare un lavoro di logica-argomentativa, di razionalizzazione, ma è arduo, devo interrompermi, devo ascoltare e quasi auscultare l’ansia da prestazione intellettuale, multitasking, rapsodica, melodica, nevrotica, metodica, a suo modo.

Si parla, anzi gli parlo di PNL, Programmazione Neuro-Linguistica, pericolosa modalità di manipolazione mentale, se non vigilata, utilizzata alla grande nel marketing della vendita multi-level, ma anche nei meandri dell’ingannevole web contemporaneo.

I muri sono spessi e il termosifone piccolo, qualche brivido di freddo ci fa cambiar posizione sulla sedia, e argomento. Si parla dell’università, di suoi interessi e di quelli di una ventunenne che mi vive vicino, di filologia medievale, del Burchiello e di Pietro Aretino, per dire come la cultura patria sia infinitamente ricca e varia, ammirevole per il mondo. Gli parlo del libro di A. Crespi, Storia d’Italia in quindici film, che gli manderò.

Gli propongo una riflessione che lo interessa: la distinzione aristotelica del principio di giustizia, tra quella generale, quella distributiva e quella di scambio (cf. Libro V dell’Etica Nicomachea), così come rivista cristianamente da Tommaso d’Aquino nella Secunda Secundae della Summa Theologiae. Gli propongo soprattutto la giustizia di scambio, dove il principio non è tanto quello di uno scambio tra valori come nel contratto per una prestazione lavorativa o una compravendita, ma tra due verità: nel suo caso tra i crimini commessi e l’espiazione ampiamente compiuta. Discorsi in itinere, durissimi, tra ciò che si è deciso di essere facendo cose, e ciò che si è stati determinati a essere dal contesto e dalle circostanze vissute. Tra responsabilità personale e flusso degli eventi, comunque lo si intenda, neurologicamente e socialmente, nel tempo dato.

E anche della coscienza abbiamo parlato, come luogo dove si incarnano i giudizi e le scelte, dopo la riflessione e il consiglio, o forse anche senza, talora, ma sempre luogo della vita e della sua verità fragile. E pensare che la coscienza dovrebbe (potrebbe?) essere la Lex aeterna in rationali creatura, cioè la capacità di “sentire dentro” l’anima che un’azione è buona o mala, che un detto è onesto o falso, che un apprezzamento è giusto o ingiusto, e così andando. La coscienza come voce interiore che, se non è zittita dalla crudeltà e dal cinismo, indirizza e giudica le azioni umane libere, per quanto possibile.

Si aprono di nuovo per me, a ritroso, le cinque porte blindate e torno all’aria aperta, aria di pioggia fredda, marzolina. Le colline umbre spariscono tra la bassa nuvolaglia.

Torno verso Bologna nella pioggia, mi fermo in un anonimo Hotel della catena Hilton convenzionato per me da un’azienda importante ove opero, a 70 euro. Non ci tornerò, troppo “americano” e banale nella sua grandeur spocchiosa e vaniloquente. E oggi al Convento di San Domenico, il seminario di Teologia della vita umana sui valori e disvalori dei nuovi modi di vivere e condividere, sulle famiglie e sugli affetti, sulla verità dell’uomo e i suoi limiti, sulla sua fragilità e sulla sua grandezza.

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