La coscienza morale è un lusso di questi tempi?
Qui, caro lettore, stiamo senz’altro trattando dell’accezione morale della coscienza, non di quella neuro-psicologica, che potremmo chiamare coscienza-consapevolezza d’essere esistentivo, o coscienza riflessa.
Nella storia umana piena di guerre sanguinose, di imbrogli e truffe, piena di superficialità, di ignoranza colpevole, di manipolazioni intellettuali e ottusa noia, non ultimo fomite di delitti e malefatte, anche se spesso sottovalutato, sembra veramente sia stato sempre e sia in qualche modo ancora un lusso avere una coscienza e ascoltarla.
Il dibattito su ciò che sia la coscienza morale è presente nella storia del pensiero occidentale da almeno due millenni e mezzo (in quello orientale da più tempo ancora), ma ha assunto una connotazione forte e distinta soprattutto con il pensiero di Platone e di Aristotele (cf. Etica a Nicomaco, etc.), ma anche delle “scuole” scettiche, stoiche e ciniche. Il pensiero cristiano, a partire dal riconoscimento della persona umana come valore in qualche modo assoluto (Vangeli canonici e Lettera di Paolo ai Galati 3, 28 come fonti principali) ha sviluppato il tema nelle sue varie declinazioni patristiche (Giovanni Cassiano, Giovanni Climaco, Agostino e Gregorio Magno tra diversi altri) e filosofiche (in primis con Tommaso d’Aquino), fino alla modernità (Kant, Marx, Nietzsche, etc.) e alla contemporaneità (Heidegger, Jaspers, Elisabeth Anscombe, Martha Nussbaum, Cornelio Fabro, etc.).
Secondo la dottrina classica la coscienza dovrebbe essere Lex aeterna in rationali creatura, cioè la capacità di “sentire” dentro che un’azione è buona o mala, che un detto è onesto o falso, che un apprezzamento è giusto o ingiusto, e così andando. La coscienza come voce interiore che, se non è zittita dalla crudeltà e dal cinismo, indirizza e giudica le azioni umane libere, per quanto possibile.
La coscienza va relata al tema della libertà, che a sua volta si declina in vari modi: da quello liberale classico del fare ciò che è consentito rispettando la libertà altrui (Stuart Mill, etc.), a quello edonista-emotivista del “fare ciò che si vuole”, a quello etico-personalista del “volere ciò che si fa”, con una sottolineatura forte del momento razionale e logico argomentativo della scelta morale.
Breve excursus storico-filosofico
Citiamo innanzitutto il Codice del re Caldeo Hammurapi del XIX secolo a. C., il Decalogo biblico (Esodo e Deuteronomio) e il Codice Levitico (VII/X sec): già in questi testi legislativi si riflettono un’etica umana rispettosa di certi limiti. La coscienza aveva cominciato a funzionare a livello giuridico-normativo e socio-politico.
E’ chiaro che la “misura della coscienza” va contestualizzata e storicizzata, perché la nozione del valore da attribuire alle cose, agli atti e alla vita umana è cambiato nel tempo, in modo diacronico rispetto ai vari luoghi abitati del pianeta. In ogni caso una carrellata non sistematica su fatti orribili accaduti nel tempo è utile.
Torno molto indietro solo con due esempi: la strage di Tessalonica voluta dall’imperatore Teodosio nel 390, convocatore cristianissimo del Primo Concilio di Costantinopoli e la strage di ebrei e musulmani perpetrata da Goffredo di Buglione e Raimondo di Tolosa il 15 luglio del 1099 a Gerusalemme. Si possono poi ricordare, tra le altre, le stragi degli Albigesi nel 1209 a Beziers (“Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”, la frase di un capo crociato, l’Amaury, a un soldato dubbioso), la notte di San Bartolomeo tra il 23 e il 24 agosto 1572 in cui vennero sterminati migliaia di Ugonotti (protestanti); i roghi di Bruno e Serveto; il genocidio degli Armeni perpetrato dai Turchi nel 1915; la morte per fame di milioni di contadini e i fucilati per paranoia del capo, sotto Stalin; la Shoah voluta da Hitler, Himmler e Heydrich; il bombardamento tedesco di Coventry; quello alleato di Dresda e del quartiere di San Lorenzo a Roma, fino ai due supremi atti di terrorismo di ogni tempo, il volo dell’Enola Gay autorizzato dal presidente Truman su Hiroshima e poi dell’altro B29 su Nagasaki.
Dov’è la coscienza di Gheddafi che ordina Lokerbie e quella di Sarkozy che vuole Gheddafi morto e scatena l’inferno; dov’è la coscienza di Saddam Hussein che gasa i Curdi e quella di Bush “il demente” e Blair “l’idiota” che scatena un altro inferno. E quella di Bin Laden?
Dov’è la coscienza di Parolisi che ammazza a coltellate la moglie per? non si sa… e quella dell’ometto bergamasco che uccide una bimba per eiacularle sopra; dov’è la coscienza di Stasi che ammazza la fidanzata (se è veramente colpevole, però!), e quella di Donato Bilancia che uccide diciassette donne; dov’è la coscienza di Leonarda Cianciulli che saponifica il prossimo; dov’è la coscienza di Chikatylo, e quella di Ted Bundy, o quella di Jeffrey Dahmer? E quella dei “soldati di Allah” che ammazzano a Londra, Madrid, Parigi, Bruxelles e Nizza. Soldati di chi? Quanta ignoranza, fanatismo, arretratezza… si tratta forse della diacronia nell’ominizzazione. Recuperiamo, via!, non solo il dato sociologico, ma anche un poco Lombroso o Adrian Raine (cf. Anatomia della violenza. Le radici biologiche del crimine, Mondadori Università, Milano 2015).
Abbiamo sentito dire che l’assassino “islamista” di Nizza era depresso perché la moglie lo stava mollando, ma dài, il depresso si suicida, non ammazza, beati giornalisti e buonisti del c.zo! Paranoico, forse (cf. Manuale Medico Diagnostico IV).
Come facciamo a chiamare “danni collaterali” i bambini, donne, vecchi uccisi dai bombardieri americani, francesi o russi, solo perché erano nei dintorni di un capo jihadista? E quella di Erdogan, democratico dittatore?
Dov’è la coscienza di Totò Riina e dov’era quella del giudice che condannava Enzo Tortora?
E l’elenco potrebbe continuare sine die, anche se il buon Steven Pinker ci spiega che la violenza è in declino (cf. Il declino della violenza, Feltrinelli, Milano 2012). Speriamo, ma il declino sarà lento e molto lungo.
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