Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Il Concerto n. 5 per pianoforte e orchestra in Mi bemolle maggiore di Ludwig van Beethoven, finalmente!

Arturo Benedetti Michelangeli al pianoforte e i Berliner Philarmoniker, il concerto “Imperatore” dedicato da Beethoven all’arciduca Rodolfo Giovanni d’Asburgo, prende alla gola e ai visceri, almeno me, da quando ero ragazzo e comprai quel vinile, ancora vivo nella mia collezione. Ho anche un’esecuzione di Maurizio Pollini e direttore Karl Boehm. Composto verso il 1810, fu eseguito per la prima volta a Lipsia e l’anno successivo a Vienna. Finalmente lo riascolto dopo un tempo troppo lungo.

Dura quasi tre quarti d’ora ed è in tre movimenti: Allegro/ Adagio un poco mosso (in si maggiore)/ Rondò: Allegro.

Non so dire cose tecniche né fare un’esegesi musicale, ma so che è complesso e pieno di pathos, pieno di virtuosismi mai fine a se stessi, ma essenziali nel sottolineare il movimento massiccio dell’orchestra, e qui parlo del pianoforte.

Mi chiedo che impressione avrebbe avuto Beethoven se ai suoi tempi avesse avuto a disposizione uno Steinway o un Fazioli da Sacile, chissà… come avrebbe proposto la melodia di dolcezza sublime dell’Adagio, con il prolungamento della nota impossibile per i limiti degli strumenti del suo tempo. Musica gioiosa e insieme evocativa, romantica nella sua potente e trascinante vibrazione.

Riascoltando il concerto mi viene in mente tutto il tempo passato dalle prime scoperte musicali, all’acquisto delle casse Tannoy, e il “grande nero” Sansui, poi sostituito da un Pioneer, e la piastra Yamaha a trazione diretta, e non dico qui quanto mi dissanguarono, che sono ancora vive e suonano come “essere in una sala da concerto”. Le mie priorità fin dai vent’anni erano queste, la bellezza delle cose, della musica, dei paesaggi, l’unicità delle persone, il loro mistero il loro destino.

Mio padre ancora vigoroso ascoltava nella stanza di là le mie musiche e ogni tanto mi chiedeva di chi erano. Conosceva Verdi e Rossini, non tanto i grandi tedeschi, forse un po’ Mozart. Quando poi passavo al rock e al blues, con Otis Redding e Jimi Hendrix, e i Cream, con l’introvabile Wheels of fire, e i Chicago al Fillmore West, un quadruplo dal vivo che ancora mi offrono cinquecento euro per averlo, interveniva mia madre e mi chiedeva di abbassare il volume. Beati tempi, visti con gli occhi di oggi, ma beati anche i tempi di oggi che hanno questi occhi, ancora più affinati nel guardare, nel cogliere, forse, con sguardi più profondi la verità delle cose e delle persone.

E la musica continua come la vita e suona con noi, il nostro ritmo interiore il nostro bilancio energetico permettendo… e ogni giorno un miracolo questo essere al mondo, e non no, questo conoscere quanto si può, questo amare come si può, questo respirare profondo e guardare la cerchia dei monti dalla pianura o nella pedemontana dove spesso si lavora.

E mi vien gratitudine, ancora, per chi mi ha voluto e mi ha portato alla vita, quei due che son mancati anni fa, eppur son presenti, ogni giorno che passa, nel mio cuore, le ultime loro parole presenti nel mio tempo, che è l’unico tempo del mondo.

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