L’orizzonte del mondo, l’orizzonte del senso
geograficamente l’orizzonte non ha essenza reale in sé, perché è la linea “apparente” che separa la terra dal cielo, ed è relativa alla posizione dell’osservatore. Ad esempio, se uno ha gli occhi a un metro e ottanta da terra lo vedrà, in assenza di ostacoli, a circa cinque chilometri; se uno si trova su una collina di cento metri che dà sulla pianura, lo coglierà a circa trenta chilometri; l’ultima volta -la scorsa estate- che mi son trovato sul monte Cuar, spalto prealpino di 1478 metri, vedevo fino alla foce del Tagliamento e oltre la linea azzurrina del mare, forse ottanta chilometri; oppure dal Matajur, 1651, ho visto una mattina limpidissima fino a Punta Salvore d’Istria; un’altra volta, in una giornata azzurra, dalla cima del monte Coglians, 2780 metri, ho individuato la cima dell’Adamello e quella del Gross Venediger innevate, cento cinquanta chilometri di raggio. Orizzonti diversi, che esistono solo nella nostra testa. Un astronauta che gira attorno alla Terra ne vede l’orizzonte curvo.
Stamane, tornando da Marano Lagunare in bici, di traverso la campagna invernale sorvolata da aironi e gabbiani, ho contemplato la Cerchia delle Montagne, centoventi chilometri, dal Montello al Carso, riconoscendo le cime più visibili, dal Cavallo, al Raut, al Cuar, e poi l’Amariana, il Sernio, i monti Musi, il Gran Monte di Taipana, il Tricorno altissimo e lontano, il Matajur, il monte Nero…
L’orizzonte possiede un’essenza solo mentale, logica, e quindi è matematicamente misurabile. La sua è l’essenza degli enti razionali. Eppure esiste, ha una sua manifestazione esistentiva ed estetica. E’ bellissimo.
Orizzonte deriva dalla termine greco horizōn , ma sembra quasi echeggiare il verbo latino orior, oreris, sorgo, il sorgere del sole all’orizzonte…
Ma c’è anche l’orizzonte del senso, l’orizzonte che si staglia nella direzione della nostra vita (il senso), specialmente quando si vive un’intensificazione solidale nella nostra piccola, fragile esperienza a questo mondo. Breve e infinita nello stesso tempo, caro lettore.
E’ come quando sei su una ferrata impegnativa, devi passare di lì e solo di lì, se non vuoi incrodarti su pareti inaccessibili e passaggi pericolosi. I bollini rossi ti guidano, tu li segui, fatichi, respiri, temi anche di non farcela, poi una cengia ti fa riposare sul ciglio dell’abisso. Ricordo la salita alla Civetta (3220) per la ferrata degli Alleghesi, e la discesa per camini ardui, oppure la mattutina ascesa del Cridola, in solitaria, duomo dolomitico, gotico fiammeggiante, o il grande Jof di Montasio, il Fuart con gli stambecchi in cima. Ricordo. E tutte le volte della grande Pietra Bianca, il Peralba, che conosco in tutte le sue vie e in ogni anfratto. E quest’anno, se vuol Dio, risalirò.
Che bello ascendere per cercare il senso e l’orizzonte, che ti aspetta come un punto metafisico, come l’essenza del tuo essere al mondo, in silenzio, in umiltà e obbedienza, come un monaco viandante, come un uomo.
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