Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Comportamenti umani sul lavoro

Dal mio osservatorio (privilegiato) di “risorse umane” in aziende di varie dimensioni, da poche unità artigianali alle migliaia di dipendenti delle multinazionali, passando per manifatture di qualche centinaio di lavoratori, in vari settori, dal metalmeccanico all’alimentare al commerciale, posso studiare micro-comportamenti che dicono moltissimo della psicologia individuale e di quella sociale, come dinamica dei gruppi, nonché di aspetti socio-culturali e antropologici.

Quando si costruisce un gruppo inserendo persone nuove e diverse, il tessuto relazionale precedente si slabbra, si trasforma, si ri-condiziona totalmente, anche se non del tutto, perché restano saldi i tratti di personalità individuali, sia di chi entra, sia di chi “accoglie” chi entra.

Infatti, l’inserimento di una persona “nuova”, pur essendo sempre una decisione direzionale, sentita anche la mia opinione sotto il profilo personologico ed etico, non è che il primo atto dell’operazione, perché è da quel momento che inizia un processo-percorso di inserimento vero, che è costituito, non solo dall’assegnazione di un primo ruolo, da una fase di addestramento e affiancamento, ma anche (e forse ancora di più, per importanza) da sofisticati meccanismi di reciproca accettazione o respingimento della persona nuova da parte di chi è già in azienda. Non può mai bastare la decisione direzionale e l’attività gestionale quotidiana ad inserire felicemente un nuovo addetto in un reparto, settore o ufficio aziendale.

Se dopo un certo periodo, la persona “nuova” non viene accettata sorge un problema grave, e c’è da chiedersi se sia il caso di forzare nella situazione data, analizzando i comportamenti e investendo ancora di più il capo reparto del problema, o di far cambiare reparto alla persona in difficoltà, o addirittura di non confermare il prosieguo della collaborazione, utilizzando i vari strumenti di flessibilità previsti dalla normativa e dalla contrattualistica (stages, tirocini, somministrazione, contratti a termine, etc.).

Faccio un esempio: può darsi che sia stata inserita una persona, anche in ruoli importanti e strategici, in base al suo brillante curriculum di studi e di lavoro, ma questa non riesce ad inserirsi nel ritmo operativo e nelle scelte “politiche” che l’azienda fa, restando sempre abbarbicata alle proprie conoscenze specialistiche, spesso molto elevate ma che, se non si connettono al processo aziendale, possono finire per essere incomprensibili e un reale impedimento alla fluidità delle operazioni aziendali, sempre strettamente legate da flussi procedurali, oltre che indirizzate dalla strategia generale. In questo caso bisogna decidersi: o cambia l’atteggiamento della persona in questione, o è meglio separarsi pacificamente.

Oppure può darsi che si inserisca in un reparto di produzione una persona diplomata o anche laureata, e che non riesca magari a livello inconscio a “vedersi”, o considerarsi alla pari dei colleghi/ colleghe, che solitamente hanno la terza media o un paio d’anni di professionali. Questo atteggiamento, anche se non esplicitato con parole, appare chiarissimo agli altri, perché traspare da movimenti  e atti, o linguaggio del corpo, che dicono chiaramente “io non sono come voi, perché ho studiato“, oppure “non trattatemi così, perché non ne avete il diritto“. Può essere un comportamento raro oppure continuo, e in questo caso le cose non possono funzionare.

La persona “che ha studiato” sbaglia e sbaglia pesantemente, perché confonde il diritto al rispetto che ogni persona ha in quanto tale, con il riconoscimento di conoscenze/ competenze che magari non c’entrano nulla con l’ambiente di lavoro. Ho esperienza di inserimenti in “zona operaia” di persone “studiate”, anche con lauree magistrali, perfettamente riusciti, e esperienze di esito opposto, le quali danno da pensare. In questi casi il lavoro da fare è in qualche modo di coaching (o counselling, in qualche caso più difficile), sempre che si ritenga valga la pena di investire tempo, risorse e conoscenze in un percorso di recupero. Il punto da cui partire è l’acquisizione da parte della persona interessata della consapevolezza di una difficoltà di comunicazione-relazione con i colleghi, generata da un atteggiamento sbagliato, e presuppone l’impegno a modificare il proprio approccio al lavoro e alla collaborazione con i colleghi. Questo impegno deve essere dichiarato con umiltà e onestà intellettuale, e verificato nel concreto quotidiano.

Se anche questa fase di recupero non riesce, è meglio chiudere il rapporto con la persona a questo punto “non inseribile”, ma anche, nel contempo, lavorare sulla formazione alla leadership dei capi, che può essere carente e alla costruzione di un migliore “spirito di gruppo” (Team building).

Ciò dimostra come ogni inserimento in ambito lavorativo sia un processo difficile, raffinato e perfino sofisticato sotto il profilo cognitivo e intellettuale: bisogna che ogni azienda ne abbia coscienza e si dia gli strumenti per poter agire con le opportune competenze e finalità organizzative, che in questo modo sono anche eticamente fondate sul riconoscimento reciproco e sullo spirito di collaborazione, dove la dignità delle persone è considerata importante insieme con il rispetto dei ruoli e delle gerarchie organizzative costruite su criteri di razionalità, conoscenza dell’umano e grande buon senso.

Post correlati

0 Comments

Leave a Reply

XHTML: You can use these tags: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>