Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

La lingua geniale

Leggo l’incantevole libretto omonimo, edito da Laterza, di Andrea Marcolongo, una grecista, paradossalmente con un nome che più virile di così non si può, Andrea, cioè “uomo forte”, proprio in greco antico. E’ una grammatica greca raccontata in modo serio e divertente nello stesso tempo, con piglio poetico, come quando dice del duale, cioè della possibilità di considerare una coppia di cose intesa come fossero una, oppure del modo verbale ottativo, una specie di congiuntivo ipotetico più raffinato, come dire “se io fossi così come mi vuoi… mi piacerebbe“, che può esprimere desiderio, eventualità, possibilità…

I verbi greci sono diversi da quelli delle altre lingue, perché oltre ad avere i “tempi”, presente, passato e futuro, interpretano anche l’aspetto dell’azione, il suo contesto, le sue ragioni, dentro la frase o il periodo. Ad esempio l’aoristo può rappresentare un’azione che continua nel presente oppure nel passato, a seconda del contesto di senso. In greco non c’è una struttura sintattica ben precisa, come in latino, italiano, francese, spagnolo, tedesco, inglese, etc., dove si parte essenzialmente dal soggetto e poi si procede con il predicato, i complementi, in una struttura predeterminata, e le frasi dipendono da una principale cui sono coordinate o subordinate altre proposizioni, ma vi è un profluvio di lemmi e termini collegati dalle “intenzioni” dell’autore, e lasciato alla sensibilità del lettore. E’ tutto dire, il lettore! che sia uno studente del classico o di lettere antiche, di fronte al greco c’è un’erta salita nel processo di traduzione, che è tras-ferimento e tra-dimento nel contempo. Ricordo che io amavo le traduzioni ad sensum, se capivo abbastanza bene il contesto generale del brano, anche se dovevo poi spiegare all’insegnante le ragioni della mia interpretazione, che non era per nulla una mera tra-duzione.

Così è, in questa lingua “occhi di bosco”, piena di colori e sfumature indicibili, dove non vige la logica razionale del latino ciceroniano o agostiniano, ma la lussureggiante prosa del dialetto attico di Platone, Aristotele, Tucidide o Senofonte, o la potente poesia omerica o pindarica, o la dolcissima modalità ionica di Archiloco e di Saffo.

Ricordo ancora i paradigmi dei verbi, tabelle e tabelle da imparare a memoria, e non mi era spiacevole, e i verbi ai vari tempi e modi avevano spesso più “radici, come il verbo “vedere”: orào, prima persona singolare dell’indicativo presente attivo (vedo), òpsomai, prima persona singolare dell’indicativo presente medio-passivo (sono visto), èidon, prima persona singolare dell’aoristo (vidi oppure sto vedendo), òida, prima persona singolare del perfetto attivo (ho visto), òfthen, prima persona singolare del perfetto medio-passivo (sono stato visto). Che dire? Un verbo solo con cinque radici diverse!

E poi c’è tutta la faccenda degli accenti, grave acuto circonflesso, e degli spiriti da apporre sulle vocali a inizio parola, che nel greco più antico non c’erano, ma in età ellenistica e bizantina son stati apposti per aiutare nella pronunzia e nella lettura. In realtà noi non sappiamo, come spiega Marcolongo, come pronunciassero il greco i parlanti di duemila e cinquecento anni fa, ai tempi di Eraclito e Parmenide, possiamo solo immaginarlo e provare a farlo a modo nostro.

Naturalmente, come in latino, abbiamo tre generi, il maschile, il femminile e il neutro, per chiamare le “cose senz’anima”, e qui verrebbe un po’ da sorridere se pensiamo all’attuale dibattito sui generi umani (non nel senso giuridico del termine)!

Le vocali sono sette, la alfa, la epsilon (cioè la “e” breve), la eta (la “e” lunga), la iota, la omicron (“o” breve), la omega (la “o” lunga), e infine la ypsilon (“u” o “y”).

I casi dei nomi sono cinque, il nominativo, il genitivo, il dativo (usato anche nei costrutti complessi di luogo, di mezzo, di agente, etc.), l’accusativo (non solo come complemento oggetto ma anche come moto a luogo) e il vocativo, uno in meno che in latino, dove vi è l’ablativo, utilizzato per costrutti formidabili come l’ablativo assoluto che descrive fatti, azioni, situazioni nel modo più sintetico che le lingue occidentali abbiano mai inventato: es. mutatis mutandis, cioè “essendo state cambiate le cose che avrebbero dovuto essere cambiate”, due termini in latino in luogo di dieci in italiano! La stessa funzione in greco la assolve il genitivo assoluto.

Derivato dall’indoeuropeo, che ha partorito anche il sanscrito e l’antico persiano, il greco classico è un po’ il papà fantasioso delle lingue europee successive, sia di quelle romanze, sia di quelle germaniche, sia di quelle slave con la variante dell’alfabeto cirillico, ma è soprattutto la lingua libera, ancora selvatica, giovane di tre millenni, ancora fresca, ancora “occhi di bosco”, ah la metafora che dice più verità della logica argomentativa. Grazie gentil lettore della tua attenzione, colorata come la lingua geniale, che amo da quando ero ragazzo.

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