La porta rossa
L’ultima puntata della serie televisiva omonima di Rai 1 mi ha intrigato, nonostante abbia letto che il soggetto sia di Lucarelli, di cui non sono fan, faccio per dire. Il tema del confine e della fine della vita (terrena) mi interessa da sempre. Ho accompagnato fino all’estremo momento mia madre, di cui ho raccolto gli ultimi sussurri, parole che non dirò mai a nessuno; mio padre se n’era andato nove anni prima, e non l’avevo visto le ultime ore perché da due giorni ero fuori casa. Dalla morte di mio padre son passati quasi ventisei anni, da quelli di mia madre quasi diciassette e, l’ho scritto più volte anche qui, il tempo lineare, fisico, cosmologico, pur dilatandosi, invece che distanziarli da me, pare me li avvicini, come se non contasse nulla. Infatti non conta nulla, perché la distanza temporale non ha nulla a che vedere con la fine della vita (terrena). Loro due li sento, mi parlano silenziosamente, ogni giorno, o quando mi metto in ascolto, in viaggio, guidando, correndo in bici, camminando per le interpoderali in solitudine. Loro ci sono. Come il commissario Cagliostro nella serie tv. Non li vedo, e non cerco di vederli o di sentirli, io non amo la medianità, che è sempre un rischio, un giocare con dimensioni altre, frequentabili anche da cattive intelligenze, colà vaganti.
Il commissario ucciso non varca la porta rossa perché vuole evitare che l’assassino proceda nel suo lavoro, l’assassino, e non dico di più per non togliere suspense a chi volesse rivedere la serie. Mi interessa il tema della permanenza vitale, in qualche modo, in qualche dimensione, in qualche stato. Ogni grande religione, dagli Egizi ai Sumeri, dai popoli indo-cinesi a quelli biblici, dai Greci ai bàrbaroi (per loro tutti gli altri popoli) ai Romani, dal cristianesimo all’islam è previsto il mondo dell’aldilà. La mistica di ogni tempo, ma anche i fenomeni di veggenza, di spiritismo e di medianità hanno “dialogato” in vari modi con il mondo infero, o degli “spiriti dell’aria”, più o meno salutarmente. In proposito consiglio al mio gentile lettore il volume del padre François Dermine, Mistici Veggenti e Medium, edito da Libreria Editrice Vaticana nel 2004.
Che vi sia un’esistenza dopo la morte fisica è non solo plausibile, ma anche probabile, anche a prescindere da atti di fede cristiana o islamica circa l’immortalità dell’anima. Basta Platone (cf. Fedro e Simposio). Anche la laicissima fisica contemporanea ammette la persistenza di elementi quantici del corpo morto e un loro ritorno all’universo, ma… la dimensione spirituale è altra cosa. Lo stato spirituale non ha un quantum, non ha un dove, non ha un peso o colori, non ha consistenza materiale. Anche il “corpo glorioso o spirituale” evocato da Paolo, sulle tracce di riflessioni più antiche, riprese anche da mio amico Origene, è qualcosa che possiede forse una qualche parvenza di materialità.
Il persistere spirituale ha una sua densissima verità, si può dire essenza, sostanza, partecipazione in qualche modo all’essere. La sua forma è diversa dalla realtà che conosciamo vivendo e in stato di veglia: si tratta della forma, che è sostanziata in un’altra modalità vitale, ne sono convinto. E non si tratta solo della memoria di una vita e dei suoi atti, depurata naturalmente dal cervello di ogni nequizia eventualmente commessa dalla persona, ma di una persistenza affettiva, amorosa, intelligente, degna di essere chiamata con il suo nome di persona, quello portato nella vita di questo mondo dove vi è generazione e corruzione (cf. Aristotele).
La porta rossa, o di altro colore magari meno drammatico e iracondo, aspetta ogni vita per un’altra vita senza fine.
Post correlati
0 Comments