Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Consapevolezza e rallentamento

Non si può fare tutto. E poi che cosa è questo “tutto”? Ovviamente sotto il profilo umano è solo una “parte” delle infinite (indefinibili, non definite) cose che si possono fare in “una” vita. “Una vita”. E dunque si deve scegliere, limitando le cose da fare nel tempo, fisico, che è incomprimibile. C’è chi accelera l’eloquio per timore di non dire “tutto-quello-che-ha-da-dire” nel tempo che ritiene gli sia concesso, e stanca con la sua velocità gli astanti; c’è chi è sempre indaffarato e non ha mai “tempo” per un’altra cosa e, di rinvio in rinvio, la cosa muore lì.

Io avrei teoricamente un appuntamento con un politico da anni (!!!), ma anche ultimamente, dopo che era stata fissata una data  concordata, l’appuntamento è saltato. Poco male. Vi sono gli affannati perenni che non cavano un ragno dal buco, nonostante sia un problema trovare un interstizio nelle loro agende: i sindacalisti sono specializzati in questo, avendo scarsa dimestichezza con un ordo rationum delle cose da fare, cioè delle priorità, che sono sempre le loro, ombelichi del mondo. Almeno quelli di queste ultime generazioni, che ti trattano da loro pari anche se hanno solo la scuola dell’obbligo e vent’anni di meno, nonché un’esperienza di studio, lavoro e vita che è un’infinitesima parte della tua (la mia in questo caso). Del “tu” a piena bocca prima di esserci messi d’accordo, approcci del tipo “Senti un poco…”. Aah Signor.

Anch’io spesso “vado di fretta”, e mi stresso: a proposito invito fermamente chi mi conosce e frequenta in qualche modo, a non usare con me questo brutto verbo latino anglicizzato (stringo, ere vs. to stress), perché mi dà l’impressione di una strizzata di co.ni. Eppoi, come insegna più elevatamente Wittgenstein e più tera-tera (direbbero Venditti o Totti) la Programmazione Neurolinguistica, più ne parli e più esiste, lo stress. Dai, lasciamolo perdere, por favor!

Nel borgo selvaggio dell’Appennino dove appena ieri mi trovavo a parlare di “coscienza, tra principi etici e consapevolezza”, ho rivissuto il senso del rallentamento consapevole, ho visto il fornaio fornire un’anziana abbarbicata vicino al castello diruto, ho sentito parlottare vecchi sulla panchina, mi sono lasciato perdere per gomitoli di strade come le ungarettiane quattro capriole di fumo sul focolare. Senza meta ho gironzolato per vicoli e scalette, salitelle e discesuole, piazzette e slarghi sulla valle amena del fiume Taro, che scorre in fondo verso il Po.

Lentamente ho vissuto per meno di due giorni, ricordando il vecchio amico che non c’è più, Alex Langer, che predicava -altissimo- lentius, dulcius, suavius, invece che citius, fortius, altius. Più lentamente, più dolcemente, più soavemente, piuttosto che (qui il “piuttosto che” ci sta!) più velocemente, più fortemente, più in alto. Ah i convegni di Città di Castello, la Fiera delle Utopie Concrete (ossimoro suo, bellissimo), di Spello, di Bolzano, di Novacella. Nell’altra mia vita quando a qualche amico potevo confidare i miei patemi. Ora non più.

A Berceto mi sono fermato andando e ho camminato fermandomi, di tanto in tanto, come insegna sant’Agostino, che ama gli opposti, le contraddizioni e i dialoghi tra l’io e il sé, i soliloqui silenti del sentiero rupestre che finisce oltre la collina, quasi in cielo, di un azzurro lancinante. Ieri mattina, con pensieri miei vaguli, transfughi come colombe del diluvio.

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