Gli sguardi, i momenti, l’intuizione, il coglimento del senso, il valore di ogni cosa che si fa
Ultimamente, mi rimproverano un po’ di questo carissime persone, che sto facendo forse un po’ troppa autocritica della mia frenesia operativa, del mio muovermi multitasking, del mio essere-presente in molte situazioni, del mio scrivere e pubblicare, tre libri in due mesi (per circostanze e coincidenze), etc. Ma stai un po’ tranquillo ché ti fai male, dai, sembra emergere dal mio prezioso network di amicizie e solidali colleganze. Va bene, devo rallentare anche per manutenermi un po’ in questa fase un poco dolente.
Epperò, mi fa notare qualche altro, stai attento a non esagerare con l’autocritica, perché se hai fatto tante cose, se sei così rock, ti sarà pur piaciuto, sarà pur servito a qualcosa.
E allora che fare? Non è facile portarsi sul ciglio della strada per riflettere un poco sulla corsa, senza abbandonarla, ché il mio è sempre un rally, e mi piace da sempre, da quando portavo bibite, studiavo allo Stellini e giocavo a basket, ancora pochissimo attento alle ragazze (poi ho recuperato).
E’ chiaro che tutto questo fremente incedere nella mia vita non dipende solo da un’opzione fondamentale, come direbbe il padre gesuita Karl Rahner, ma anche da miriadi di micro-decisioni quotidiane, da vettori causali alieni e da volontà altrui, e infine da circostanze plurime. Faccio un esempio: se spostandomi da un’azienda a un’altra a cavallo della mezza giornata, non riesco a mangiare perché sono distanti quaranta chilometri l’una dall’altra e, mentre termino verso le 13 nella prima, ho da iniziare alle 14.15 nell’altra, che faccio? Un tramezzo? Un caffè e dolcetto? Nulla, o solo acqua? Questa è spesso la mia vita, miracolo se riesco a sedermi una o due volte alla settimana con Michele o qualche altro collega a pranzo, un primo o un secondo-contorno e dolcetto e un taglio di vino rosso.
Quanti sono gli sguardi, le parole non dette, le parole dette, le correzioni, l’uso combinato di e-mail, watts app, sms, rinvii, discorsi brevi sul ciglio della porta di un ufficio, un gesto d’intesa, una caterva ogni giorno, ed è bellissimo, perché il dialogo è vivo, vero, potente, trasversale, nutriente sul piano psichico ed efficace su quello operativo.
E i momenti? Tutti diversi, tutti da in-ventare (cioè da -latinamente- invenire, cioè trovare, ché inventare significa trovare ciò che già c’è nell’intelligenza del mondo e dell’uomo). Ogni momento ha la sua irriducibile unica preziosità di tesoro nascosto e svelato, è la alètheia greca, la verità locale e formale che si svela-ri-velandosi (cf. Heidegger), ogni attimo genera miracoli, mira (cose meravigliose), se ci si crede volendo fare quello che di meglio sappiamo fare.
L’intuizione delle cose poi aiuta la riflessione razionale: posso fare anche questo oggi, o devo rinviare? Ci sta, se lo aspettano, rinviare è dannoso? Io non rinvio mai, seguo l’istinto, ragiono ma immediatamente procedo, anche senza completare il sillogismo argomentativo, se colgo che è meglio fare subito, piuttosto che rinviare.
Ed ecco che incontri il coglimento del senso, cioè la verità-importanza- validità dell’aver operato senza ulteriori indugi, dell’essere partito come una scheggia arrivando in tempo e salutando chi lasci senza ansia da prestazione. Non mi pare di aver fatto cose insensate in questa mia velocità di pensiero, di parole e opere. Non mi pare di aver peccato granché di omissioni, cioè di non avere pensato detto o fatto ciò che avrei dovuto, nel ganglio centralissimo della mia posizione esistenziale, operativa e umana, nelle relazioni che ho e che coltivo.
Il valore di ogni cosa che si fa è presente nel farla e nei suoi effetti, immediati o mediati o futuri che siano. Intanto hanno e sono un valore le cose che si fanno, se pensate con cognizione di causa, con rispetto dei fondamenti e della qualità relazionale.
Rimanere inerti è colpevole, come insegna il Maestro di Nazaret in molti passi del suo annunzio nuovo per l’uomo e per il mondo, ma specialmente nella famosa parabola dei talenti, là dove lo scrittore del vangelo secondo Matteo (25, 14-30) raccomanda di usarli per il fine buono cui sono destinati, pena il deragliamento dalla propria vita e da quella degli altri esseri umani, un deragliamento dal mondo e dalla vita.
Io non deraglio, ma viaggio dritto come un fuso sulla mia strada, che alcuni conoscono e altri no, ma va bene così.
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