I cambiamenti profondi sono pazienti: un “caso di scuola”
A volte vengo colpito dall’impazienza di lavoratori, dirigenti e titolari d’impresa, che mi chiedono con ansia perché le cose non cambiano con la necessaria velocità, ciascuno dal suo punto di vista. E faccio fatica a rispondere, perché nelle strutture di lavoro accade esattamente la stessa cosa che capita nella vita: si fa fatica a cambiare, quando il cambiamento è profondo.
Innanzitutto perché i tratti del carattere delle persone, una volta formatisi entro la prima adolescenza, non cambiano più: possono modificarsi, con l’esercizio, solo i comportamenti concreti nel quotidiano, ma non il carattere.
Ma vi è di più: le persone tendono a radicare i propri comportamenti e abitudini in una sorta di comfort zone, che rassicura, perché conosciuta e dove solitamente accadono fatti prevedibili e non preoccupanti. Molto naturale e… molto comodo. Una situazione da “schiodare”, altrimenti il declino è certo.
Vi possono essere “vizi comportamentali” individuali e a anche collettivi. I problemi sorgono quando il contesto più generale richiede cambiamenti rapidi e profondi e la struttura interessata a interloquire con il mondo non risponde, non è reattiva, non cambia.
Questo può accadere nelle aziende, ma anche in anche in sistemi organizzati come la scuola, l’università, la sanità, etc.. Facciamo l’esempio di cui posso portare più esperienze: quello aziendale, vale a dire il complesso modello relazionale e organizzativo, culturale e sociale che caratterizza l’impresa economica, industriale, commerciale o di servizi che sia.
Innanzitutto ci si deve chiedere dove è insediata questa azienda, perché fa differenza se essa si trova nella Silicon Valley, a Milano, sulla direttrice Vienna-Varsavia, sulla grande arteria che va dal Messico centrale agli stati americani (USA) del centro-est verso i grandi laghi, in Ucraina, lungo la Via Emilia, a Buttrio, o nella pedemontana friulano-pordenonese.
Nel primo caso, quello “americano” si tratterà di un’azienda tipo Google, piena zeppa di ingegneri e informatici trentenni o meno, dinamica, multiculturale, liberal di spirito e di atteggiamenti; a Milano potremo trovare una multinazionale tedesca come la Continental-Siemens, italo-tedesca, e anche qui frotte di tecnici e ingegneri poliglotti; lungo la via Emilia eccoti la Barilla, con un corposo gruppo di tecnologi alimentari provenienti anche da fuori regione e molti operai della zona, emiliani veraci e cordiali; a Buttrio c’è la grande Danieli, friulanissima di spirito, ma certamente volta al mondo, con una cultura metallurgica e una tecnologia meccanica worldwide, commistione di culture industriali nordestine e mitteleuropee (io ne so qualcosa per aver vissuto quell’ambiente, come alcuni sanno, in una fase di grandi cambiamenti); sulla direttrice Vienna-Varsavia troviamo aziende multinazionali europee come la PSA (Peugeot-Citroen), o la Samsung ricche di un humus umano-professionale multietnico e multilinguistico euro-asiatico, e di una massa operaia locale (ad esempio attorno a Bratislava, per mia esperienza personale, si parla slovacco, ungherese, inglese e tedesco… e un po’ di italiano, in non poche aziende).
Se visitiamo il Messico centrale troviamo aziende euro-americane che lavorano per gli USA, prevalentemente, hablando spagnolo e inglese (esperienza mia diretta); sul fiume Dniepr lavora una grande e modernissima acciaieria con tecnologie Danieli, piena zeppa di ingegneri e tecnici provenienti da tutta la Santa Madre Russia, che ho visitato e vi tornerò; infine, nella pedemontana pordenonese, oltre ad alcune realtà metalmeccaniche e agricole non di poca importanza, si può trovare una fabbrica medio-grande del settore alimentare, con caratteristiche molto peculiari. Si tratta di una fabbrica modernissima, ma con un rapporto operai-tecnici-impiegati di tipo quasi ottocentesco, cioè la massa operaia è di gran lunga prevalente in termini di numerosità e una certa omogeneità. Questo, nel bene e nel male, e avrebbe potuto costituire interessante oggetto di studio per gli economisti classici, da Ricardo a Marx a Pareto a Schumpeter.
Venendo al nostro tema, quello del cambiamento, soprattutto di humus culturale, tra i vari esempi, quest’ultimo è il più emblematico in termini di difficoltà e lentezza.
La massa operaia è femminile e costituita da persone che, nella stragrande maggioranza provengono dalle zone limitrofe, da un trapezio isoscele, più o meno, con i vertici superiori nelle valli prealpine e i vertici inferiori a Maniago e Spilimbergo. La preparazione scolastica prevalente di questa massa è la scuola dell’obbligo, l’età oscilla tra i venticinque ei sessant’anni. la provenienza è agricolo-montagnina, lo sguardo a breve, racchiuso dalla cerchia delle montagne.
La meravigliosa produttività di questa impresa, il suo vorticoso sviluppo, le sue prospettive brillantissime già delineate, sono frutto di un combinato disposto geniale: la volontà ferrea e il coraggio visionario della famiglia proprietaria, un gruppo dirigente molto vario ma molto valido, una struttura organizzativa articolata e complessa, che prevede turni, rotazioni e un orario di trenta ore alla settimana per la produzione. La stragrande maggioranza di personale femminile gradisce moltissimo le sei ore al giorno per ragioni evidenti. Ebbene, uno dei temi di maggiore difficoltà è la gestione di questa massa di centinaia di operaie. Infatti, accanto a una capacità e a una intensità di lavoro tutta friulana, eticamente encomiabile, con le dovute eccezioni statistiche, convivono nei gruppi vizi ancestrali, a volte molto fastidiosi e difficili da estirpare. Ecco dove il cambiamento dovrebbe realizzarsi.
Gelosia, curiosità a volte morbosa, maldicenza, gossip, espressioni stereotipate quasi sempre critiche verso la dirigenza, capacità di manipolazione, nonnismo verso le “nuove” o chi viene da zone un po’ diverse dalle solite o più lontane. Una congerie di sentimenti negativi che costituiscono l’oggetto dell’attenzione delle figure responsabili in ogni fase dell’inserimento, dell’addestramento e del lavoro. Sono previsti ovviamente momenti di rinforzo formativo per chi governa queste persone, che deve essere sempre più capace di non assecondare, o per pigrizia o per paura, quei vizi, ma l’impresa del cambiamento è ardua e difficile, e lunga, per cui occorrerà molta pazienza, anche quella di attendere qualche passaggio generazionale.
Come combattere i vizi di cui sopra? Non c’è altro da fare che monitorare, formare addestrare e, se del caso, sanzionare, nell’ordine, senza stancarsi mai. Il tempo farà poi il suo lavoro inesorabile per il cambiamento.
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Corretto e condiviso caro Renato