el caballero andante
…soy yo, sono io, e l’espressione può essere considerata sia in friulano sia in spagnolo, perché si pronuncia allo stesso modo, e ci sono solo le ypsilon a rendere diverse le parole. Il sintagma è cervantesco, ché il grande Miguel l’ha usato spesso para el ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha (Alonso Quijano) che andava eroicamente per le terre di Spagna a render giustizia a uomini e donzelle, in un racconto epico e picaresco.
Ognuno di noi è un cavaliere, più o meno consapevole, che se ne va nel mondo, anche se magari non a salvar donzelle, bensì a cercare ogni giorno la propria strada, il sentiero da percorrere, affrontando la propria fatica, i dolori e le gioie.
E così andando fa incontri, con un tal Sancho Panza che fedelmente lo segue e lo serve, e con una miriade di altri umani e non-umani, castelli, animali, contrade, cieli diversi e corsi d’acqua, boschi e distese di campi coltivati a perdita d’occhio, montagne inaccessibili e dolci colline all’orizzonte. Si ferma e riparte, entrando in città e villaggi, uscendone di primo mattino, senza nostalgia, rivolto all’altrove, e così ogni giorno, settimana, mese, anno… Lui va, el caballero andante. Va anche senza sapere precisamente dove il suo incedere e la sorte lo porteranno ogni giorno, muovendosi dall’alba al tramonto, instancabile. Io, tu, noi andiamo.
Il vento della Sierra a volte gli fa compagnia verso sera, consigliandogli di cercare un rifugio, una locanda dove fermarsi a riposare, dove impastoiare Ronzinante e la cavalcatura asinina di Sancho. Insieme hanno imparato a viaggiare, supportandosi e sopportandosi (tanto, è la stessa cosa), ascoltando e comprendendo anche gli umori delle due fedeli bestie che li accompagnano per le strade e nei perigli d’ogni dì che viene e che passa.
Don Quijote osserva in lontananza l’orizzonte, scruta le nuvole e gli slarghi di cielo sereno che si alternano, mentre animali bradi si stagliano sul crinale delle basse colline inaridite. Di tanto in tanto i due viandanti si scambiano qualche parola, nell’essenzialità dei discorsi. Il silenzio fa loro buona compagnia per lunghi tratti del tortuoso cammino, che scavalca vallate profonde e pianure ondulate, incontrando corsi d’acqua e fontanili, stagni e laghetti, dove le anatre selvatiche e uccelli di passo trovano ristoro e cibo.
Il senso del viaggio non sempre è presente nelle loro menti, perché a volte le domande che ci si fa vivendo non hanno proprio risposte. Le risposte sono i pensieri che vengono, gli atti compiuti. El caballero andante…
« Viveva, or non è molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un hidalgo di quelli che hanno lance nella rastrelliera, scudi antichi, magro ronzino e cane da caccia. » |
« Toccava i cinquant’anni; forte di corporatura, asciutto di corpo, e di viso; si alzava di buon mattino, ed era amico della caccia […] Negli intervalli di tempo nei quali era in ozio (ch’eran la maggior parte dell’anno), si applicava alla lettura dei libri di cavalleria con predilezione così spiegata e così grande compiacenza, che obliò quasi interamente l’esercizio della caccia ed anche l’amministrazione delle cose domestiche. »
Lui ama Aldonza Lorenzo, che nella sua fantasia diventa la nobile dama Dulcinea del Toboso. E si batte contro dei frati che pensava fossero rapitori di una dama biscaglina, e contro un gregge di pecore e contro i mulini a vento. In una zuffa dove comunque prevale, viene anche picchiato al punto che gli saltano due denti: il che gli farà dire: « Se mai quei signori volessero sapere chi è stato il valoroso che li ha ridotti a quel modo, vossignoria dirà che è il famoso Don Chisciotte della Mancia, il quale con altro nome si chiama il Cavaliere dalla Trista Figura. »
Trista nel senso di severa, tutta compresa delle cose da fare nella vita, dei doveri di un gentiluomo che non può mai deflettere, mai transigere a qualsiasi costo. Per la sua sepoltura furono composti molti epitaffi tra i quali quello di Sansone Carrasco:
Meglio forse la vita di Alonso Chisciano, che visse da matto ma fu veramente, che tante vite gettate nel nulla dell’avere possedendo oggetti e non la libertà. |
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2 Comments
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Renato, testi molto buoni!
Mi chiamo Nicolas Pilutti, brasiliano. Sono il nipote di Umberto Pilutti con Maria Lopes e la tromba di Vittorio Pilutti con Teresa Feresin Pilutti. Volevo sapere se fai parte di qualsiasi famiglia di questa famiglia. Grazie!
grazie Nicolas, senz’altro sì, magari per altri rami che ora non ti so dire, mandi