Chi fu più crudele, Alessandro il Macedone, il presidente Truman o il generale Westmoreland?
qui non parlerò dei soliti Hitler e Stalin, Pol Pot o Hafez el Assad, tra molti altri dittatori e affini, oggettivamente crudelissimi e tali, ovviamente, anche secondo i racconti di riviste alla Focus o di programmi televisivi alla Voyager, che perseguono il “divulgatismo” culturale più vieto e fuorviante. Farò un confronto sintetico tra Alessandro il Grande, il presidente Harry Truman e il generale U.S.A. William Westmoreland, comandante in capo delle forze americane nella prima fase kennedyan-johnsoniana della orrenda guerra del Vietnam, malefatta cosmica della democrazia occidentale del XX secolo, poi quasi pareggiata dal duo di dementi criminali Bush jr.&Blair con la seconda guerra del Golfo nei primi anni del terzo millennio.
Qualche giorno fa un signore, forse attento lettore di Focus e spettatore del millantatore Giacobbo di Voyager, “mi informava” che Alessandro, dopo l’uccisione nel 336 a.C. del padre Filippo II re di Macedonia, per assicurarsi la successione e realizzare il suo sogno di “conquistare il mondo”, fece uccidere parenti e affini, e quindi lo giudicava di una crudeltà inenarrabile. A quel punto gli ho chiesto che cosa pensasse della crudeltà di Westmoreland che usava il napalm sui villaggi contadini della nazione vietnamita e i B52 sulle città, che scaricavano bombe da due tonnellate da quota diecimila metri dal suolo, e sotto, laggiù, molte inermi persone, oltre ai guerriglieri Vietcong, morivano, non davanti a un gladio sguainato o per una freccia, ma schiacciati come pantegane, uomini, donne, vecchi e bambini. O era più crudele Alessandro quando inseguiva e uccideva i Persiani di Dario III già battuti al fiume Granico, a Isso o a Gaugamela?
O che cosa pensasse degli Alleati che bombardarono Dresda, o di Hitler, ah no lui, perché quello è già il cattivissimo, che attuò lo sterminio degli ebrei e distrusse Coventry, o del presidente Truman che scaricò due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki (massimo atto terroristico di ogni tempo). Chi più crudele? Alessandro, Truman o Westmoreland?
Il fatto è che vedere un campo di battaglia dell’antichità, come può essere stata Canne dopo lo scontro tra Annibale e i consoli romani Emilio Paolo e Terenzio Varrone sarebbe stata una cosa, mentre osservare il fungo atomico di Hiroshima dal B29 Enola Gay che -dopo lo sgancio- si allontana rapidamente, è un’altra: nel secondo caso il colonnello Tibbets non ha visto morti, feriti, bruciati, dissolti, mentre nel primo caso il valloncello di Canne era pieno di corpi dilaniati e la terra intrisa di sangue di almeno cinquantamila soldati uccisi dei due eserciti. Era crudele Annibale o il console Varrone, era crudele il colonnello Paul Tibbets?
L’errore del mio interlocutore sta nella visione anacronistica del giudizio morale. Se per noi cittadini del ventunesimo secolo infliggere la morte a un essere umano in qualsiasi modo, anche con la pena di morte, è inaccettabile, per il tempi di Alessandro non era così, poiché il valore di una singola vita umana era diverso dal valore che le attribuiamo noi. E’ stato il Maestro di Nazaret a spiegare all’uomo che ogni creatura, ogni anima, ha la stessa dignità incommensurabile di chi è stato “fatto a sua immagine” (Genesi 1, 27), ri-leggendo in termini umanissimi e davvero “nuovi” la crudelissima Bibbia, anzi il Primo Testamento dei Patriarchi. Dal lieto messaggio evangelico, in mezzo a mille contraddizioni, si è sviluppata l’idea del valore della vita umana, peraltro per quasi duemila anni proprio non curata dalla chiesa, anzi dalle chiese cristiane e dalle altre grandi religioni. Fu il pensiero laico settecentesco a riprendere illuministicamente questo valore, con il trattato Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria (1764), mentre la chiesa di Roma continuò a tagliare teste (vero “santità” san Pio IX?) fino al 1870 (Agatino Bellomo).
Tommaso d’Aquino, sulla crudeltà in ambito bellico, scrive (Summa Theologiae, II II, q.20, 1 ad 3):
La guerra è giusta se ripara un’ingiustizia. Ma deve essere fatta con retta intenzione, con carità.
“Si richiede che l’intenzione di chi combatte sia retta: e cioè che si miri a promuovere il bene e ad evitare il male. Ecco perciò quanto scrive S. Agostino: «Presso i veri adoratori di Dio son pacifiche anche le guerre, le quali non si fanno per cupidigia o per crudeltà, ma per amore della pace, ossia per reprimere i malvagi e per soccorrere i buoni». Infatti può capitare che, pur essendo giusta la causa e legittima l’autorità di chi dichiara la guerra, tuttavia la guerra sia resa illecita da una cattiva intenzione. Dice perciò S. Agostino: «La brama di nuocere, la crudeltà nel vendicarsi, lo sdegno implacabile, la ferocia nel guerreggiare, la smania di sopraffare, e altre cose del genere sono giustamente riprovate nella guerra».”
Riassumendo, la crudeltà è una specie di indifferenza alla sofferenza e al dolore altrui a volte confinante con il sadismo, cioè al piacere di infliggere questo male. Non sempre è quasi sinonimo di violenza, perché può configurarsi anche come mancato soccorso di una persona in pericolo. Rappresenta comunque sempre una manifestazione di pretesa superiorità di un individuo umano su un altro.
Forse è il caso di considerare altri tipi di crudeltà, quella dei serial killer. Che cosa accomuna l’elegante Ted Bundy al “mostro di Rostov” Chikatilo, all’uccisore di prostitute Donato Bilancia, al cannibale di Milwaukee Jeffrey Dahmer, a Landru, a John Wayne Gacy, alla contessa sanguinaria Erzsébet Bàthory, alla saponificatrice di Correggio Leonarda Cianciulli, ai fratelli Savi, se non la crudeltà assoluta, anche se in parte -come sostengono molti neuro-scienziati- connotata da tratti di follia. O quella degli orrendi macellai dell’Isis e affini, cui non intendo dedicare neppure una virgola in più.
E dunque la crudeltà umana appartiene a tutta la storia, ma va vista nella situazione data, nel momento storico, nell’etica creduta e nella filosofia del diritto del tempo esaminato. Quanto al suo essere un sentimento individuale deve essere esplorata dalla psicologia e dai saperi antropologici e filosofici.
In definitiva, non si può paragonare Alessandro il Grande a Hitler o al colonnello Tibbets, perché colti nel loro agire individuale in tempi e situazioni assolutamente diversi, nonché caratterizzato da intenzioni e giudizi soggettivi sugli esseri umani radicalmente differenti, ad esempio, sicuramente folli e crudelissimi nel caporale Adolfo.
Per questo sconsiglierei -per la cultura personale e la maturazione di un sapere etico certamente soggettivo ma ben documentato- di leggere riviste alla Focus e di seguire trasmissioni tromboneggianti come quelle del puerilmente minaccioso Giacobbo. Amen.
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