Le favole di Esopo e altre storie di saggezza popolare
Ho per le mani un volumetto dell’editore Salerno, inviatomi da chi si trova in ristretti orizzonti, per gentilezza amicale e omaggio di scuse. Evidentemente in questa fase delle nostre due rispettive vite non ci si capisce, e fors’anche non ci si comprende, e quindi occorrono messaggi di soccorso al reciproco intendersi.
Le favole rappresentano miti e caratteri umani spesso attraverso una sorta di antropo–morfizzazione degli animali, selvatici e domestici, in situazioni assolutamente plausibili, con una morale finale che si traduce in proverbi e motti sintetici, comprensibili a chiunque. Il titolo esteso del volumetto è Aforismi politici fondati sopra le favolette di Esopo frigio, dedicate alla qualità del principe (si tratta in questo caso di Vittorio Amedeo II di Savoia) e all’arte del regnare, a cura di Emanuele Tesauro, tratto da manuali in uso fin dal ‘500 nelle scuole umanistiche; d’altro canto Gianni Mombello ritiene una fonte attendibile dell’aureo libretto il testo francese di Jean Baudoin Les fables d’Esope Phrigien pubblicato nel 1631. Il titolo della pubblicazione italiana è La politica di Esopo frigio.
Il genere letterario degli aforismi e degli apologhi moraleggianti risale prima di tutto alla tradizione greca di un Plutarco, e poi anche a quella latina di un Marziale, di un Cicerone o di un Tacito, e non solo, ma appartiene perfino alle esperienze formative dei primi apostoli della chiesa cristiana nascente, come i Padri del deserto del terzo secolo d. C.: nomi come quelli di Pacomio e Paolo di Tebe, di Antonio come raccontato da Atanasio di Alessandria, sono noti per i detti e gli apoftegmi che lasciarono in dote alle prime strutture cenobitiche egizie e del Vicino Oriente antico. San Basilio di Cesarea ne fu poi il principale fruitore quando pensò di scrivere la prima regola monastica della cristianità, fonte originale dello stesso movimento benedettino, che da lì trasse argomenti così come dalle indicazioni morali e comportamentali agostiniane. Più vicine ai nostri tempi sono le raccolte di detti aforistici ed epigrammatici di filosofi come Montaigne, Pascal, Nietszche, Schopenhauer, Karl Kraus, Wittgenstein, etc.
Non dimentichiamo poi il libro biblico dei Proverbi, vero compendio di sapienza popolare del plesso siro-palestinese risalente al primo millennio a. C. Massime, adagi, proverbi, apologhi, aforismi, apoftegmi, in una ricchezza straordinaria e forse ancora poco conosciuta dai più.
Le più divertenti di Esopo, tanto per gradire e forse rammemorare ricordi scolastici in qualche arguto lettore.
DEL LUPO E DELL”AGNELLO
“Alla chiara sorgente di un fresco rio beveva messere il lupo. E, bevendo, vide un agnello, che dilicatamente, con la cima de’ labri beveva nel rio, lungi foorse un tratto di pietra. Il lupo scacciò la sete con la fame e corrè sopra lo agnello, gridando: Ahi scelerato, tu m’intorbidi l’acqua. L’agnello, col cuore e con la voce tremante, lo supplicò di compatire alla sua innocenza. Percioché, bevendo sì lontano nel rio, non poteva intorbidar la fontana. Ma la crudel fiera, più altamente gridando, rispose: Invano ti scusi. Tuo costume è di volermi male. Percioché il tuo padre e la tua madre mi odiano a morte. Tu dunque ne pagherai la pena. E così dicendo sel mangiò.
allegoria: Quando il più forte vuole opprimere il debile, non gli mancano pretesti.”
DEL TOPO E DELLA RANA
“Guerreggiava contro della rana il topo acquaiolo per la giuridizione della palude. Il topo più astuto, facendo imboscate fra l’erbe e uscendo di sotto terra, assaltava la verde nemica. Ma questa come più agile e destra, col saltellare ora inanzi ora indietro si schermiva e offendeva. Lungo tempo con le armature di foglie e lance di giunchi durò nel freddo fango la calda battaglia. Ma ecco che, troppo intesi a danneggiarsi fra loro, i piccoli avversari non si guardarono dal nibbio, il qual, calatosi di repente, divorò l’uno e l’altro.
allegoria: Quando due piccoli contrastano , il potente fa il suo profitto.”
DEL CERVO E DELLO AGNELLO
“Il cervo bugiardo accusò l’agnello davanti al lupo, dicendo: Signore, costui non mi paga un moggio di formento che mi deve. Lo agnellov quantunque sicuro di non dovergli nulla, nondimeno, temendo il lupo non pigliasse questo pretesto per mangiarlo, si sottometté di pagarlo infra pochi giorni. Apena finito il tempo, ecco che il cervo domanda il debito. Ma l’agnello, il quale non aveva più paura, si negò debitore, dicendo: Ben tu sai che il timor del lupo mi forzò a prometter e promessa fatta per forza non vale una scorza.
allegoria: Promesse forzate non vaglion nulla.”
DEL CANE E DELL’OMBRA
“Passava il cane per un ponte stretto con un pezzo di carne tra li denti. E perché l’ombra della carne, riverberando nell’acqua, rappresentava un pezzo di carne molto maggiore, il cane disse: O che grande acquisto poss’io far oggi, per mia fè io non vo’ perderlo. Si calò dunque nel fiume, ma quando più vicino fu alla preda, tanto più lontano si trovò alla speranza. Percioché, aprendo l’avida bocca per aboccar l’ombra, la vera carne gli scappò, ed egli non ebbe né questa né quella. Onde, ritornandosene affamato, disse: O pazzo me, che non seppi moderar la mia cupidigia. Io avevo quanto mi bastava e ora per volere troppo io non ho nulla.
allegoria: Chi vuol troppo non ha poi niente.”
DELL’AQUILA E DEL CORBO
“Fra gli scogli marini aveva l’aquila pescato una conchiglia. Ma niun profitto traea della preda, peroché né col rostro, né cogli unghioni potea squarciarla per averne il pesce che dentro vi si nasconde. Dissele allora il corbo: Eh, sciocca, vuoi tu ch’io t’in segni? Vola quant’alto puoi e lascia cader la conchiglia sul duro di questo sasso, ch’ella si romperà. Il successo fu questo: l’aquila seguì il consiglio, la conchiglia si spezzò, il pesce ne uscì e il corbo cattivello, che stava quivi aspettandolo, sel beccò.
allegoria: I consiglieri avari indirizzano al proprio comodo gli lor consigli.”
Non vi è dubbio alcuno che la sapienza popolare di tutti i tempi e luoghi è fondamento della filosofia morale soprattutto da un punto di vista pratico e pragmatico del saper vivere, a volte rinunziando a qualcosa per avere l’essenziale, cioè ciò che dà l’essenza vitale nell’equilibrio dei desideri, filtrati dall’intelletto e dalla ragione, e mossi da una volontà consapevole del senso delle cose e della vita stessa.
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