Le opere dell’uomo secondo un sapere etico e “Le operette morali” del Poeta-Filosofo
Leggendo il meraviglioso testo leopardiano, scritto a più riprese tra il 1824 e il 1831, vien da fare un paragone con l’etica odierna che va per la maggiore, quella scientista-positivista, in auge da un secolo e mezzo. Là dove il grande poeta-filosofo di Recanati mette in guardia gli uomini dalla ybris, proterva convinzione di poter dominare la natura e tramite essa il mondo, oggi molti sono convinti che tutto ciò che la scienza può fare si debba poter fare, indipendentemente da un giudizio morale di merito.
Leopardi fa parlare, personalizzandoli e antropomorfizzandoli, molti soggetti, come la Terra e a Luna, lo Gnomo e il Folletto, la Morte e la Moda, e poi anche un Fisico e un Metafisico, Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez, Porfirio e Plotino, etc.
Per dire del dialogo, ad esempio, tra un Fisico e un Metafisico: Leopardi qui mette in campo il paragone tra una vita lunghissima, ai limiti dell’immortalità, scelta preferita dal Fisico e una vita intensa e di qualità elevata, come invece indica come preferibile il Metafisico, e chiaramente si pone dalla parte di quest’ultimo, confermando che ciò che deve importare all’uomo saggio e sapiente è la qualità umana e morale delle azioni che compie, non la loro quantità e visibilità; oppure del confronto fra Colombo e Gutierrez: nel dialogo tra i due navigatori la riflessione verte sul coraggio e la capacità degli uomini di mettersi alla prova, non tanto sfidando la Natura, che è incomparabilmente più potente e grande, quanto di usare tutti i beni mentali, spirituali e fisici di cui sono dotati per esplorare ciò che la Natura sviluppa nel mondo, ma con l’umiltà dettata dalla conoscenza e dal rispetto del limite che gli uomini saggi ben conoscono e accettano; infine, nel bellissimo dialogo tra i due filosofi neo-platonici Plotino e Porfirio, maestro e allievo, ma in questo caso quasi dei prestanome per un Leopardi che evolve nelle sue opinioni morali sulla vita e sul suo valore, si possono individuare alcuni profondissimi aspetti filosofici, che danno al dialogo stesso il valore di un’epigrafe etica tra le più elevate del pensiero ottocentesco.
Se Porfirio-Leopardi più giovane disdegna il valore intrinseco della vita, anche se colma di sofferenze, Plotino-Leopardi più vecchio recupera di contro questo valore come accettazione della elevatezza spirituale, scelta per la vita comunque, al di là di ogni fuga suicidiaria, che è egoista in quanto evitante, e di una scelta che tiene conto del consorzio umano, del fatto che ogni uomo è nel contesto dell’umanità tutta, cui deve rispetto e attenzione per il comune destino.
L’etica di Leopardi è portatrice di una visione del mondo stoica, non mai scettica, e chiaramente aperta alla verità del cuore e degli atteggiamenti conseguenti. Leopardi non tradisce mai se stesso, né si lascia prendere la mano da un pessimismo di maniera, né cosmico né autobiografico: egli è consapevole delle difficoltà presenti in ogni esperienza di vita, segnato dalla propria in profondità fin dall’infanzia, ma non recrimina, non eleva alti lai contro la sorte, contro il destino, ma si limita a constatare che l’uomo, creatura tra tutte quella consapevole del meraviglioso dramma di essere-al-mondo, gettati nel mondo, ha da accettare questa condizione, che è un bene in sé, un appartenere all’essere e all’averne coscienza, e piena contezza.
In questo essere-nel-mondo l’uomo opera e opera secondo una morale che, nel caso suo, fa a meno del Dio delle religioni, ma accoglie fino in fondo la creaturalità dell’umano, il limite, la perduranza del dolore, la precarietà del vivere.
E la sua poesia, specie quella di alcuni degli idilli maggiori, come L’infinito, come Il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, come La ginestra, suo penultimo canto, si correla armoniosamente con i pensieri delle Operette Morali, in una sinfonia di filosofia poetante o di poesia pensante, e mai l’apparenza (o l’apparire) di un ossimoro fu meno probabile.
Giacomo Leopardi in questo senso ha gli occhi e il cuore di un veggente disincantato e perfino ironico, a volte, mai abbandonato alla disperazione, ma sempre dignitosamente aggrappato alla sua forza vitale, alla ricerca di forme sempre nuove di bellezza e di verità. Egli “vede” -precorrendoli- i tempi successivi, come se il futuro, le aspettative, la contemporaneità gli comparissero davanti in un nitore abbagliante, con tutte le contraddizioni, le illusioni, le false promesse e le profezie fuorvianti di altri profeti, o sé putanti tali, quelli sì arrogantemente protesi a insegnare a vivere a tutti.
Operette nel senso di “piccole opere”, umiltà vera e non falsa modestia di un uomo cui dobbiamo essere grati non solo per la sublime poetica, ma anche per un pensiero profondo e onesto, limpido e incondizionato. Grazie per sempre, piccolo grande amico, conte Giacomo da Recanati.
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Argomento che mi interessa molto collegato soprattutto all’etica medica
La ringrazio molto dottoressa (presumo), renato