Finestre sulle solitudini
…mi sembra di vedere quando incontro giovani, ragazzi e men giovani, per strada, gli occhi rivolti al display di uno iphone o di uno smartphone, finestre sulle solitudini.
Ecco l’immagine che mi ispirano: ognuno solo sul cuor della terra -à la Quasimodo- trafitto dal video (e non da un raggio di sole) o da un’immagine carpita tra uno spot e l’altro.
Son lì che cincischiano attoniti, braccio contro braccio, spalla contro spalla, se sono in macchina, oppure semplicemente seduti accanto in un bar caffè pub osteria, quindici, sedici diciassette, ma a diciott’anni poi invece c’è l’auto di un amico che li porta via, e in auto continuano, testa bassa, a smanettare imperterriti.
Se qualcuno fosse lì presente sentirebbe l’inesistente dialogo tra i due o tre viandanti motorizzati, fatto di mmm, sssh, e altri illuminanti monosillabi borbo-rigmati forse da una regressione paleo-antropologica.
Finestre sulle solitudini, o no? Qualcuno me lo dice? C’è un diciottenne che legge questo blog e mi può illuminare? Forse che stanno inventando nuovi linguaggi da studiare seriamente al corso di glottologia e linguistica generale a lettere? Chiederò a Bea che studia lì.
Dove e quando si è interrotto il parlato normale, sviluppatosi negli ultimi 5 o 10 mila anni? Negli anni ’80 nella Silicon Valley? A New York, a London, a Milano, a Paris, a Santa Maria de los Angeles? O in uno dei borghi natii e selvaggi della nostra penisola, in uno dei borghi più belli d’Italia, cioè del mondo?
Smanettano così anche i cinque imbecilli delinquenti che hanno picchiato, ultimi tra le miriadi di bande di sciammannati attive, quel pakistano, o indiano, o marocchino, o quel che volete, anche un barbone? Anche quei minus habens si danno appuntamenti nefasti dalle loro finestre sulle solitudini? Chi hanno a casa, che padri, che madri, che sorelle, che altra parentela o affini? Hanno gente che li difende, o vicini che dicono quando il fattaccio diventa irrimediabile come un delitto, e allora dicono compunti davanti al cronista: “era così un bravo ragazzo, chi l’avrebbe mai detto?”
Dove sono finiti gli occhi di un vicinato curioso, ma attento, di un tempo, dove si è spenta la vigilanza implicita del quartiere? Che volti stanno dietro le felpe anonime che ciondolano per le strade a tutte le ore del giorno e fino alle ore piccole? “Dove vai?” “In giro“, la risposta più faconda e ricca di particolari.
E, se qualche insegnante delle superiori (si fa per dire… superiori, e de che?) si permette di segnalare ai genitori che c’è qualcosa che non va nei comportamenti del giovin rampollo, rischia di beccarsi una denuncia a i carabinieri o al TAR. Nessuno tocchi il mio bambino, o bambina, ché da qualche tempo son diventate molestatrici bulle anche le ragazzine. Mobbing, stalking, straining, gerundi inglesi entrati nel lessico normale della cronaca e delle denunce.
Forse che l’aggressività sociale che si percepisce, si respira perfino, li sta mettendo in un angolo quasi sulla difensiva? Gli esempi di violenza sociale, politica, militare non mancano. In tempo reale sul web appare di tutto, dalle follie del coreano Ping Pong e di parrucchino Trump, alle dichiarazioni di innocenza di Battisti, agli attentati casuali del terrorismo jihadista, agli omicidi casalinghi irrisolti, come quello di Denise Pipitone e di altri casi incredibili, come quello di Sara Scazzi, etc.
Oggi si uccide meno di un tempo ma lo si sa subito, e si coglie la follia consapevole dell’assassino, come la zia di Sara che strangola la nipote perché più bella e ricercata di Sabrina, sua figlia. Come si fa a uccidere per gelosia paesana o per invidia parentale? Come si fa? In che mondo spirituale vive quella donna, in quale miseria morale suo cognato Michele Misseri, che nasconde il cadavere “in campagna”, come si dice laggiù.
E poi il profluvio di talk show, dove per due anni si parla di un delitto, con esperti/ esperte o sedicenti tali, criminologi in carriera, psicologi forensi, ex alti ufficiali e giornalisti “specializzati” in delitti, torture e rapine. Il tutto condito da cronache di attentati, di guerre non dichiarate, ma combattute in giro per il mondo, e pare che attualmente ve ne siano almeno un centinaio in corso.
I ragazzi orecchiano tutto questo, certo distrattamente, ma qualcosa li colpisce, loro che son privi di strumenti critici, analitici, e a volte anche cognitivi, perché poco coltivati, aiutati, ascoltati da chi sta a casa con loro, quando sono a casa, o c’è qualcuno che li aspetta, a casa. L’intelligenza umana è una dotazione naturale da coltivare, però: non può essere lasciata lì inerte, inerme di fronte al turbinio del mondo che gira, che cambia, che si agita, di fronte a tutto ciò che nasce, che cresce, che diminuisce e che muore.
I ragazzi sono rimasti soli, ed è anche per questo che smanettano afoni e a volte perfino afasici davanti alle loro finestre di solitudine.
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