Il valore delle cose, piccole e grandi
forse il beneficio maggiore che ti dà il tempo del ripensamento, dovuto a diverse ragioni: riposo, convalescenza come itinerario di guarigione fisica, favorisce anche una sorta di percorso verso una “guarigione psichica”, anche se non sei psichicamente malato, o meglio, se non lo sei per il Manuale Diagnostico IV e V, Bibbia di psicologi e psichiatri di mezzo mondo. Ce l’ho e lo consulto spesso quando devo confrontare i casi filosofici che mi si presentano con la letteratura specifica di confine.
Sto parlando di me, che notoriamente (sorrido) non sono psicolabile, né tantomeno psicotico. Epperò, in questa fase, proprio per la mia collocazione in una delle categorie sopra elencate, ho avuto (mi sono dato) il tempo di riflettere meglio sul valore delle cose, non solo sul loro senso, tema che mi ha impegnato anni fa nella stesura di un volumetto edito da La Bassa, appunto, intitolato Il senso delle cose. Mi sono soffermato a considerare il valore di molte cose che mi sono accadute e mi stanno accadendo in questo periodo nuovo, per me strano, impegnativo, qualche volta anche drammatico, e perfino commovente. Innanzitutto la misura dell’amicizia, dell’affetto e della stima di cui godo presso molte più persone di quanto pensassi. Il mio essere un uomo difficile da trattare, duro a volte, rapido nel pensiero e pieno di pretese verso il pensiero altrui, non mi ha alienato stima e affetto da parte di molti, perché forse hanno sempre colto il disinteresse e la purezza di cuore del mio agire.
Circa il senso delle cose mi sono sempre interrogato, ma circa il loro valore ho sempre -o quasi- privilegiato quelle che mi parevano più importanti. Sbagliando. Perché tutte le cose, anche le più umili, sono importanti, se non altro perché lo sono per qualcuno, la cui opinione, umanamente parlando, vale sempre quanto la mia, non di più e non di meno. E qui non sto parlando di saperi specialistici, dove ognuno, se vuole essere intellettualmente onesto, deve parlare solamente di ciò che conosce veramente, e mai a vanvera. Su ciò io sono rigorosissimo, perché capita troppe volte di sentir pontificare di questo e di quello chiunque, come se ci si trovasse al bar Sport del paese a discutere i destini della vergognosa nazionale di calcio italiana o in uno dei tanti vieti e stupidissimi talk show televisivi.
Fino a qualche mese fa se qualcuno mi mostrava un fiore mi distraevo subito a guardare il prato, pieno di fiori, o la collina piena di colori, l’insieme olistico del mondo, facendo fatica a concentrami sul particolare… sarà per questo che noi maschi non vediamo neanche una ragnatela di un metro quadro mentre una femmina la vede anche se è di un centimetro quadrato? Forse sì, ma in me la difficoltà di vedere le cose piccole forse è più accentuata che in altri. E su questo, noto che le persone omosessuali sono molto più sensibili di me e della media dei maschi che conosco. Cromosomi corsari, direbbe Pasolini.
Ora apprezzo il criceto (che ero io con dimensioni da belva feroce) come la tigre e l’aquila, mio animale preferito, il mio indirizzo da sempre di posta elettronica. Ora apprezzo il fiore che mi viene indicato, quel fiore lì, quella nuvola lì, quel cagnolino lì, che mi abbaia petulante.
Ora, che non è allora. Agostinianamente sto imparando a vivere il presente, come unico tempo vero, senza pretendere di pro-iettarmi chissà dove e quando.
E’ vero dunque, come scrive Fernando Pessoa che il valore delle cose è dato dalla loro qualità intrinseca, che però è percepibile se ci si mette in ascolto, o in visione di queste piccolezze, senza pretendere che siano grandi e impressionanti montagne come il Cerro Torre in Patagonia o il ghiacciaio Perito Moreno, o le cascate di Iguazù, quattro volte più grandi del Niagara, che ammirai dal versante paraguayano venticinque anni fa. Ora godo più di prima delle sette cascatelle del rio Cornappo a Platischis di Taipana. Ora, non prima.
Il valore delle cose si manifesta nel sentimento, più che nell’esercizio della ragione argomentante, ed è forse per questo che i sapienti antichi, sia del versante greco-latino, sia del versante biblico-semitico, e cito solo le grandi culture mediterranee, che meglio conosco, consideravano il cuore e i visceri il luogo fisico dei sentimenti. Anzi, per l’ambiente biblico il cuore (nefesh, in ebraico) era l’anima o la persona umana stessa, mica solo un muscolo che pompa sangue vivente! Peraltro la moderna ricerca scientifica ha mostrato come nell’intestino vi siano altrettanti neuroni che nell’encefalo. Si può pertanto parlare a giusta ragione anche di intelligenza emotiva. Forse per me, raziocinante per dovere e per necessità, l’esperienza attuale mi insegna, non solo che le cose piccole hanno valore come le cose grandi, ma che devo ascoltare di più le ragioni del cuore, perché il cuore ha ragioni che la ragione non conosce (B. Pascal).
Se non lo ho mai saputo, me l’ero dimenticato.
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