…e come il vento odo stormir tra queste piante…
Tratto da L’infinito, il verso, interno a un enjambement, del conte Giacomo da Recanati, evoca in me memorie e sentimenti arcani.
Trovo che la grande poesia o la grande musica siano il modo migliore per elevare lo spirito quando nuove consuetudini rovinano la spiritualità, come quella del Natale.
Il vento, il suo stormire, l’ordine delle parole voluto dal poeta creatore ci fa recuperare la bellezza degli eventi che rischiano di perderla, annegati nei lustrini dei nuovi costumi mercantili.
Il Natale è memoria trasfigurata di una venuta, è storia sobriamente raccontata dagli antichi scrittori, e creduta. Il Natale è metafora della nascita e anche di ogni ri-nascita, perché ogni anno si presenta nel tempo stabilito a ricordarci l’evento dell’Incarnazione del Verbo di Dio. E invece è diventato smemoratezza dell’evento e occasione di generiche festività godute qua e là, come ferie. Non molto di più.
Nelle città e nei luoghi di villeggiatura è un brillio reiterato di lampade e lustrini, persa di vista o quasi la sua ragion d’essere. Ma accadono anche altre cose in questi giorni a cavallo dei due anni che si succedono.
Leggo sul web che una maestra di Zoppola (provincia di Pordenone per i miei lettori extraregionali), per non “turbare” la sensibilità dei suoi alunni non-cristiani, ha sostituito il nome di Gesù, anzi il suo suono-segno-significato, in una canzoncina natalizia, con “Perù“, assonante e nulla più. Il nome di una nazione sudamericana al posto del nome di Gesù di Nazaret, punto di riferimento religioso per due miliardi di umani, e genetliaco storico della nostra vicenda, compresi i non cristiani, ché non risulta usino altri riferimenti, se non quello del genetliaco gesuano, siano essi buddisti, islamici, induisti, confuciani, scintoisti, animisti e atei, cioè la maggioranza di noi occidentali.
Peraltro, alcune festività religiose come il Natale e la Pasqua hanno conservato date diverse nello stesso ambito cristiano, ad esempio presso gli ortodossi, che hanno mantenuto il calendario giuliano, cosicché posticipano il Natale di una dozzina di giorni rispetto al 25 dicembre.
A che cosa attribuire la cialtronata zoppolesca o zoppoliana? A ignoranza crassa o a un istinto del politicamente corretto, oramai talmente diffuso da venire introiettato al punto da suggerire azioni preventive per evitare chissà che cosa. Mi proporrò per tenere una lezione gratuita alla pedagogista della destra Tagliamento, sulle citazioni gesuane e mariane presenti nel Corano, su Isshà (Gesù) e Mariam, sua madre, che è forse più nominata di Fatima (figlia di Mohamed) e di Kadijia (moglie del Profeta).
Il rispetto, cara maestra (e di che?) è un guardare-negli-occhi-l’altro, come insegna la sana etimologia latina del verbo respicere, riconoscendogli pari dignità ma, appunto, senza abbassare lo sguardo, ché altrimenti non si può guardare negli occhi, ma si guardano i calzari… dell’altro. E’ così che lei vuole muoversi nella nuova pedagogia multi-polare, poli-centrica, prona al punto da modificare la nostra storia e la nostra cultura sedimentatasi in millenni?
La vicenda fa il paio con quella dei presepi e di altre storie di autocensura sulle festività cristiane per come vengono vissute da qualche anno in molti istituti della scuola dell’obbligo, in Italia.
Epperò non condivido le reazioni grevi delle forze politiche oggi denominate sovraniste, come la Lega, che reagiscono chiedendo di non riconoscere pari diritti civili a persone che vengono da altri mondi, se pure con i dovuti percorsi di inserimento, e nei tempi corretti, come propone il testo della legge non approvata sulla cittadinanza legata alla presenza in un territorio e all’accettazione serena della cultura, nonché alla conoscenza della storia e delle norme legislative di quel territorio.
Ognuno sia quello che vuol essere, qui da noi e ovunque, rispettando la medesima condizione e diritto verso qualsiasi altro, senza la pretesa di possedere verità intangibili e da far imparare a tutti, con le buone o con le cattive. La soluzione non è quella di imitare, quasi per spirito di vendetta, i totalitarismi politici e gli stati etici o le teocrazie, di qualsiasi genere e specie essi siano, ma quella di dialogare accettando tutte le diversità rispettose delle… diversità altrui.
E ora me ne torno alla poesia e alla musica, che sono due consolazioni sempiterne, caro lettore di fine anno. E che quest’anno se ne vada in gloria.
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