Attilio Fontana e Liliana Segre, due storie, due menti, due cuori, un solo genere o razza, se si vuole, ma nel senso dell’art. 3 della Costituzione della Repubblica Italiana, grazie a Dio e alla saggezza dei Padri costituenti
Attilio Fontana è un avvocato iscritto alla Lega, che ha fatto il sindaco e aspira al governatorato della Lombardia. Qualche giorno fa gli è scappata (?), o ha voluto fare un’affermazione un po’ avventurosa e un po’ stronza sul pericolo che starebbe correndo la “razza bianca” con il profluvio di genti che sta arrivando dal sud e dall’est (e un po’ anche dall’ovest) del mondo. In realtà, qualche milione di anni fa ci siamo spostati, noi, ebbene sì, dall’Africa e pian piano, homines erecti, cioè uomini-che-stano-in piedi, abbiamo colonizzato il mondo. Da scuri di pelle ci siamo schiariti in vari modi, perché c’erano e ci sono meno raggi solari a latitudini più settentrionali, per cui i siberiani, gli europei e gli eschimesi sono più pallidi dei Bantu.
La genetica, scienza ignota a san Paolo, che proclamava gli uomini essere tutti uguali (cf. Lettera ai Galati 3, 28) ha mostrato che io, Renato, ho il 99.9 % del DNA tuo, mio gentile lettore, e di qualunque altro essere umano. Quindi il pigmento non c’entra, la melanina men che meno. E perfino il 98% del DNA dello scimpanzé.
Allora, caro Attilio Fontana, peraltro giurista, come la mettiamo con l’interpretazione del lemma “razza” utilizzato da Piero Calamandrei, Umberto Terracini, Alcide De Gasperi, e altri uomini illustri, per redigere l’art. 3 della nostra Costituzione repubblicana? Non è che, perfino all’inclito e al bimbo delle elementari, l’utilizzo del termine in quel luogo e in quel modo ha un significato esattamente opposto a quello da lei inopinatamente citato? Infatti, i Padri costituenti hanno voluto dire che l’Italia tratta tutti gli esseri umani allo stesso modo, di qualsiasi razza (oggi magari diciamo preferibilmente etnia), siano e qualsivoglia religione, credo politico e filosofico professino, o no? Mettiamola così: la sua è la manifestazione di un’ignoranza tecnica, e la cosa è comunque grave, e chissà se non sia più grave di un’ipotetica sua scelta ideologica, peraltro fondata sul nulla, come lei, dopo la lettura di queste poche righe, senz’altro converrà. Non credo che lei sia un seguace di Robert Knox, o di Arthur de Gobineau, e men che meno di Himmler e di Eichmann. E non cito nemmeno gli “studiosi” fascisti che redassero la vergogna italiana dell’ultimo millennio, le “Leggi per la difesa della razza” del 1938.
Liliana Segre. Una gioia profonda mi ha preso alla notizia della nomina di questa signora ottantottenne, ma lucida e dritta come un virgulto, a Senatore della Repubblica da parte del Presidente Mattarella, per avere luminosamente “illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale…”. Alla buonora che si ri-dice Patria, da qualche parte, e non “paese”. Nel 1938 Mussolini, per scimmiottare l’inqualificabile bestialità nazista, la imitò facendo emanare le “Leggi per la difesa della razza”. Fu una delle due gigantesche criminali idiozie che decise, l’altra fu quella di entrare in guerra con Hitler, e soprattutto con la disastrosa spedizione militare in Ucraina. Non credo vi siano dubbi al riguardo, neanche per chi si colloca a destra.
La signora Segre, nacque a Milano da famiglia ebraica agnostica, laica, aperta ad amicizie senza limitazioni di alcun genere. Faceva ancora le elementari, la seconda o la terza forse, quando, a seguito dell’emanazione delle Leggi citate, fu messa fuori dalla scuola, come tutti gli altri bambini e ragazzi ebrei d’Italia. Venne nascosta presso amici e “il 10 dicembre 1943 cercò, assieme al padre e due cugini, di fuggire in Svizzera: i quattro furono però respinti dalle autorità del paese elvetico. Il giorno dopo, venne arrestata a Selvetta di Viggiù, in Provincia di Varese, all’età di tredici anni. Dopo sei giorni in carcere a Varese fu trasferita a Como e alla fine a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni. Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal Binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwirz-Birkenau, che raggiunse sette giorni dopo. Fu subito separata dal padre, che non rivide mai più e che sarebbe morto il successivo 27 aprile. Il 18 maggio 1944 anche i suoi nonni paterni, arrestati a Inverigo, in provincia di Como, e deportati dopo qualche settimana ad Auschwitz, furono uccisi al loro arrivo, il 30 giugno. Alla selezione, ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio. Fu impiegata nel lavoro forzato nella fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens, lavoro che svolse per circa un anno. Durante la sua prigionia subì altre tre selezioni. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania. Venne liberata dall’Armata Rossa il primo maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbrück. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati al campo di concentramento di Auschswitz, Liliana fu tra i venticinque sopravvissuti.” (dal web)
Per decenni non volle parlare della terribile esperienza, poiché, scrive:
- “Era molto difficile per i miei parenti convivere con un animale ferito come ero io: una ragazzina reduce dall’inferno, dalla quale si pretendeva docilità e rassegnazione. Imparai ben presto a tenere per me i miei ricordi tragici e la mia profonda tristezza. Nessuno mi capiva, ero io che dovevo adeguarmi ad un mondo che voleva dimenticare gli eventi dolorosi appena passati, che voleva ricominciare, avido di divertimenti e spensieratezza.”
Solo nei primi anni novanta ha deciso di interrompere questo silenzio e da allora si è resa disponibile a partecipare ad assemblee scolastiche e convegni di ogni tipo per raccontare ai giovani la propria storia, anche a nome dei milioni di altri che l’hanno con lei condivisa e che non sono mai stati in grado di comunicarla. E siamo alla decisione del Presidente Mattarella di nominarla senatrice a vita.
Forse, per il lettore, può essere a questo punto utile un piccolo ripasso di ciò che furono le leggi fasciste in “difesa della razza italiana”. Si legge alla voce di cui trattasi su Wikipedia:
“Per la legislazione fascista era ebreo chi era nato da: genitori entrambi ebrei, da un ebreo e da una straniera, da una madre ebrea in condizioni di paternità ignota oppure chi, pur avendo un genitore ariano, professasse la religione ebraica. Sugli ebrei venne emanata una serie di leggi discriminatorie. Il fascismo – attraverso l’emanazione della Legge nº 1024 del 13 luglio 1939-XVII (Gazzetta uffciale del 27 luglio 1939), Norme integrative del Regio decreto–legge 17 novembre 1938-XVI, n.1728, sulla difesa della razza italiana – ammise tuttavia la figura del cosiddetto ebreo arianizzato. Con la L. 1024/1939-XVII regolò infatti la «facoltà del Ministro per l’interno di dichiarare, su conforme parere della Commissione, la non appartenenza alla razza ebraica anche in difformità delle risultanze degli atti dello stato civile». Si trattò in sostanza del conferimento di un potere molto vasto alla Commissione per le discriminazioni: questa infatti poteva formulare un parere motivato, senza poterne rilasciare «copia a chicchessia e per nessuna ragione», sulla base del quale il Ministero dell’interno avrebbe a sua volta emanato un Decreto di dichiarazione della razza. Nell’autunno 1938, nel quadro di una grande azione razzista già tempo prima, il governo Mussolini varò la “normativa antiebraica sui beni e sul lavoro”, ovvero la spoliazione dei beni mobili e immobili degli ebrei residenti in Italia. Agli ebrei arianizzati – cioè a quegli ebrei che in virtù della Legge nº 1024 del 13 luglio 1939-XVII ricevettero per Decreto la dichiarazione di appartenenza alla razza ariana – le leggi razziali furono applicate con alcune deroghe e limitazioni.”
In ogni caso, la pesante gaffe di Fontana e la nomina delle signora Segre sono due episodi che, se collegati in modo corretto, possono aiutare i nostri giovani a capire qualcosa del recente passato, facendosi un’idea autonoma di ciò che l’uomo, quando la cultura e un’etica ben declinata non sono vigili, può ancora perpetrare ai suoi simili, lasciando che il male, sempre in agguato, afferri la sua mente e il suo cuore. Informazione e cultura contro ogni discriminazione e l’ingiustizia, per la pace e la vita.
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