Il caro professor Joseph Ratzinger così scrive al Corriere della Sera: “Nel lento scemare delle forze fisiche, interiormente sono in pellegrinaggio verso Casa…”
…perché molti lettori avevano richiesto come stesse Benedetto XVI, tramite il giornalista Massimo Franco.
Mi ha commosso il linguaggio del vecchio prete e professore agostiniano, e papa “emerito” che ha rinunziato al ministero petrino con parole echeggianti queste ultime, qui messe nel titolo. Allora Ratzinger disse in latino, fornendo le ragioni della rinunzia “ingravescente aetate, cioè essendo la mia età oltremodo avanzata... me ne vado, perché non ho più le energie necessarie, umane, per continuare nel mio compito”, così parafraso le sue precise parole che sorpresero il mondo, non solo cattolico. Bello. Sereno.
Ingravescente aetate: chi sa un po’ di latino può apprezzare l’ablativo assoluto che racconta uno stato d’animo e una condizione fisica, un’età avanzata raggiunta, una consapevolezza, una coscienza del limite delle energie che si hanno a disposizione dopo che il tempo è transitato, o forse, meglio, dopo che noi siamo-passati dentro il tempo, che è fermo.
In pellegrinaggio verso Casa. Pellegrinaggio come essere-viandante da sempre e per sempre, Casa con la maiuscola, dice quest’uomo. L’accettazione dello scorrere del tempo e del cambiamento è una gran lezione per chiunque sappia leggere dentro il garbo malinconico delle parole ratzingeriane. Forse adesso, che quest’uomo pubblico per nulla amante della fama temporale, si è ritirato, lo si comprende meglio. Quello che Il Manifesto, annunziandone l’elezione aveva chiamato spiritosamente con la sua copertina iconograficamente magistrale il “pastore tedesco”, giocando sull’equivoco espressivo della nota razza canina, sta facendosi capire con questo suo modo di porsi al mondo, oltre che alla cattolicità, in modo limpidissimo, nella sua semplicità e umiltà di uomo di studio e di chiesa che accetta la vecchiaia come un dato provvidenziale, tutt’uno con il suo stesso essere ed essere-stato, senza che il “prima”, costituito da prestigio e ruolo, in qualche modo compaia come rimpianto o recriminazione. Sto incamminandomi da pellegrino verso la Casa, scrive il teologo, verso la Casa del Padre, potrei aggiungere, perché così si dice in questi casi.
La cognizione del viaggio, dell’essere sempre homines viatores aiuta ognuno di noi, sempre, facendo pensare alla precarietà, cioè alla condizione naturale del porsi in preghiera, ognuno di noi precarius, consapevole della propria fragilità e di un destino da co-costruire insieme con tanti altri vettori causali, con gli altri che incontriamo, con chi sfioriamo, con chi evitiamo anche senza sapere di farlo, con chi camminiamo ogni giorno.
Ratzinger si è ritirato in preghiera e nell’umiltà del silenzio obbediente alla sua umanità, anelando a una patria comune dello spirito, alla quiete della contemplazione, meditando sulla bellezza e l’unicità della vita, di ogni vita.
Ascolto queste sue parole, a mia volta nel silenzio dell’esperienza attuale, nella fatica della scelta quotidiana, nel lavoro, nello studio, nell’ascolto della mia anima e di quella degli altri, che mi parla in mille modi, più profondamente se è di chi mi vuol bene, alternando gioia e dolore, respiro amoroso dell’unica vita donatami.
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