La vergognosa ignoranza di Matteo Salvini contro la “docta ignorantia” di Socrate e Nicolò Cusano
Caro lettor d’inizio settimana,
la dottrina filosofica classica distingue tra “ignoranza ignorante”, tautologia necessaria e ne esamineremo la ragione, e “ignoranza tecnica”. Ognuno di noi, anche fosse la persona più colta del mondo è comunque “tecnicamente ignorante” (participio presente che regge l’accusativo) qualcosa, molte cose, e anzi, più è colta, e più si rende conto -seguendo Socrate- (secondo il detto del grande filosofo greco “so di non sapere”) di ignorare molte cose.
L’ignoranza tecnica non fa commettere o non presuppone alcuna colpa morale, necessariamente, intuitivamente: infatti, non si può sapere tutto, neanche di un argomento singolo, cosicché non vi è colpevolezza se non si conosce in modo adeguato un fatto o un oggetto, ovvero se si pensano cose sbagliate di essi, validando una sorta di scostamento tra la realtà ed una percezione della stessa, che nel caso risulterebbe errata. A meno che non ci si vanti di una conoscenza insufficiente e/ o erronea, perché in quel caso si configurerebbe certamente una responsabilità morale e, secondo la morale cristiana, peccato.
Generalizzando, dunque, il termine ignoranza significa una mancanza di conoscenza o di un particolare sapere. Il termine latino ignorantia deriva dal greco gnorìzein, ed ha assunto nel tempo un’accezione sempre più negativa, man mano che si è attribuito al termine una sempre maggiore valenza, potremmo dire, “volontaria”, e quindi di cui si ha responsabilità.
Nel mondo greco-latino l’ignoranza non è mai stata apprezzata, come è ovvio, a meno che non la si intenda socraticamente, come atto di umiltà e di curiosità di apprendere sempre cose nuove: una “sana ignoranza”, potremmo dire, recuperata quasi duemila anni dopo dal teologo cardinale Nicola di Kues (Cusano) con il suo concetto di dotta ignoranza, vale a dire l’ignoranza consapevole, e perciò porta di accesso spirituale e, aggiungerei con un termine della psicologia contemporanea, cognitiva, della sapienza. Altrove, come in Estremo Oriente, troviamo dottrine diverse dalle nostre: ad esempio nel buddismo l’ignoranza è considerata come un velo, che induce le passioni e causa le conseguenti rinascite: per questo in base a quella filosofia religiosa è preferibile non desiderare nulla di superfluo al fine di evitare il dolore, sempre presente nella vita umana, e di più in chi è più avido di possesso.
Tornando a Socrate, chi confessa la propria ignoranza compie il primo passo verso la sapienza, in greco sophìa, da sophòs, vale a dire “illuminato” (da phòs, luce), la quale però apparteneva ai cosiddetti sofisti solo apparentemente, perché questi “filosofi” (o “filodossi”, come ebbe a chiamarli successivamente Platone, vale a dire amanti dell’opinione-propria) erano troppo superbi per essere veramente saggi e sapienti.
Nel titolo poi scrivo anche il nome del politico leghista, cioè Matteo, per non dare per scontato che sia l’unico “Salvini” di fama, in quanto vi è un omonimo giudice e un altro omonimo gran maestro massone.
Davanti al Duomo di Milano qualche giorno fa il politico in questione ha comiziato giurando di osservare la Costituzione della Repubblica Italiana, per tanti anni sbeffeggiata dal suo partito insieme alla bandiera tricolore, il Vangelo, la Buona novella di Gesù di Nazaret, brandendo anche un Rosario mariano, e così mostrando coram populo (e che significa questo sintagma latino, signor Salvini? e che significa sintagma?), non la propria dotta, ma la propria sesquipedale (e sesquipedale, che significa?) ignoranza.
Infatti dubito che, se lo interrogassi, Salvini saprebbe dirmi sui simboli religiosi cristiano-cattolici usati, che cosa significa “vangeli sinottici” o “vangeli apocrifi”, e ancor di più quando nella storia della Chiesa cattolica sia comparsa la preghiera iterata (a proposito chissà se sa che cosa significa l’aggettivo “iterata”) del Rosario e se sì, di quante Avemarie sia composto e che cosa siano e significhino i “misteri” richiamati nella sua recita, etc. etc. E, in ogni caso, la citazione e l’uso di simboli religiosi in un comizio politico è inopportuno, goffo e disdicevole.
Mi fermo qui per non infierire troppo crudelmente sulla sua per me certissima colpevole ignoranza teologica e catechetica che, nel momento in cui si accorgesse di possederla, dovrebbe farlo vergognare e seguire celermente il consiglio di Wittgenstein, facente parte degli asserti fondamentali del Tractatus Logico-Philosophicus: “Di ciò che non si sa si taccia“.
Da ultimo, solo per mettere in guardia qualche mio lettore (se c’è) di simpatie salviniane, non dico leghiste, mi chiedo quanto Salvini conosca il contesto storico-socio-politico, la genesi, il sostrato etico-ideale e il testo stesso della Costituzione della Repubblica Italiana, ovvero se abbia solo orecchiato tutto ciò, più o meno come il suo quasi sodale grillino, altro mostro di evidente vergognosa ignoranza ignorante e proporzionata presunzione.
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