Ipazia, o del tempo che viene
nel 415 d. C. Alessandria d’Egitto era oramai la capitale culturale dell’Impero Romano d’Oriente. Cristiana nella dottrina monofisita (in Cristo, per i monofisiti, sarebbe presente la sola natura divina, in contrasto con la dottrina dei Padri antiocheni, i quali sostenevano che in Gesù Cristo vi fosse prevalentemente la natura umana, e lo spiego in modo grezzo, ché il tema è raffinato e complicatissimo), ospitava una fiorente scuola filosofico-matematica ispirata alle teorie platoniche, dove avevano insegnato e insegnavano maestri come Ammonio Sacca, Origene, Porfirio, Proclo, Giamblico, Plotino. Tra essi, unica donna di un ceto intellettuale fervorosissimo e unico vi era Ipazia, matematica, astronoma e filosofa. In quell’anno fu crudelmente uccisa da monaci detti parabolani, seguaci del vescovo Cirillo, che non tollerava altro che la sua dottrina cristiana-monofisita. Anche i cristiani sono stati fanaticamente crudeli o, se si vuole, crudelmente fanatici, e non meno d’altri di altre religioni e sette.
Parlo qui di Ipazia, perché lei era in anticipo sul suo tempo, donna e scienziata, uccisa perché in anticipo sul tempo, anche se di solito sembra che il tempo venga avanti, come un paesaggio cui vai incontro anche rimanendo fermo, come se si stesse seduti a guardare i fotogrammi di un film.
Il tema è presente nelle letterature più varie, dalla filosofia alla teologia alla fisica, antiche, moderne e contemporanee, da Parmenide e Zenone di Elea ad Agostino, passando per san Paolo e san Giovanni evangelista, a Bergson a Werner Heisenberg ed Einstein. Teologia e fisica, matematica e filosofia hanno a che fare con il tempo, come concetto e come ente, se vogliamo.
Qualche esempio. Paolo parla della venuta di Cristo, della parusia, La parusia è la venuta del Signore Gesù Cristo glorificato, con potenza e gloria, alla fine dei tempi, come si legge in 1 Ts 4,15-17: “Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore.”
Ogni discorso cristiano sulle cose ultime, chiamato escatologia, parte sempre dall’evento della risurrezione: in questo avvenimento le cose ultime sono già incominciate e, in un certo senso, già presenti. Il già e il non-ancora sono lì, dall’eternità.
In Giovanni, nella 1 Lettera, leggiamo (2, 28): “E ora, figlioli, rimanete in lui, perché possiamo aver fiducia quando apparirà e non veniamo svergognati da lui alla sua venuta.”
Sant’Agostino nel libro XI de le Confessiones al cap. 14, 17 scrive: “Non ci fu dunque un tempo, durante il quale avresti fatto nulla, poiché il tempo stesso l’hai fatto tu; e non vi è un tempo eterno con te, poiché tu sei stabile, mentre un tempo che fosse stabile non sarebbe tempo. Cos’è il tempo? Chi saprebbe spiegarlo in forma piana e breve? Chi saprebbe formarsene anche solo il concetto nella mente, per poi esprimerlo a parole? Eppure, quale parola più familiare e nota del tempo ritorna nelle nostre conversazioni? Quando siamo noi a parlarne, certo intendiamo, e intendiamo anche quando ne udiamo parlare altri. Cos’è dunque il tempo? Se nessuno m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so. Questo però posso dire con fiducia di sapere: senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista, non esisterebbe un tempo presente. Due, dunque, di questi tempi, il passato e il futuro, come esistono, dal momento che il primo non è più, il secondo non è ancora? E quanto al presente, se fosse sempre presente, senza tradursi in passato, non sarebbe più tempo, ma eternità. Se dunque il presente, per essere tempo, deve tradursi in passato, come possiamo dire anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste è che non esisterà? Quindi non possiamo parlare con verità di esistenza del tempo, se non in quanto tende a non esistere.”
Per Paolo, Giovanni e Agostino, il tempo fisico è come sovrastato dal tempo “opportuno”, il kairòs, tempo staccato dal prima e dal poi aristotelico, e anche da quello einsteiniano, sotto il profilo fisico, perché è un tempo spirituale, il kairòs.
Heidegger parla invece dell’Ereignis, cioè dell’evento che accade: evento, Er-eignis come “giungere al proprio” (essere), tramite un incontro.
Einstein propone la relatività generale, le quattro dimensioni che curvano lo spazio, per ora in contrasto con la meccanica quantistica, a meno che nell’infinitamente piccolo lo spazio “si comporti” in modo diverso che nell’infinitamente grande.
In ogni caso il tempo in sé pare proprio non-esistere, pur essendo un ente concettuale-logico. Lo intuiamo noeticamente, ma facciamo fatica a discernere il suo manifestarsi reale, come se fosse una dimensione sovrumana, come se fosse quasi un dilatarsi fino a noi dell’Essere divino.
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Sul tempo consiglio i libri, talora un po’ presuntuosi, ma chiari, di Carlo Rovelli. Ipazia, figura luminosa, la collochetei però fuori dal tempo, come nelle intenzioni evidenti della sceneggiatura del film “Agorà”. Cito la risposta di Ipazia al ben intenzionato vescovo di Cirene che voleva convertirla in quanto naturaliter christiana: “Voi non potete mettere in discussione quello in cui credete. Io devo”. Tale frase, immaginata dallo sceneggiatore, interroga il filosofo cristiano di ogni tempo sulla compatibilità tra fede e pensiero
Caro Giorgio,
ti ringrazio di cuore per la tua competente attenzione. Condivido la sottigliezza dei tuoi suggerimenti, che non scivola mai nella sofisticazione e, di questi tempi confusi e degradanti/ degradati, dialogare in questo modo è ossigeno puro per l’anima, oltre che alimento per la cultura. Speravo di vederti ieri al seminario mestrino, ma son certo che ci vedremo presto, mandi
renato