Il poeta e il soldato
Chiamato anche il Vate, Gabriele D’Annunzio è ricordato dalla storia contemporanea anche come “poeta-soldato”, per la sua vita avventurosa e, oggi diremmo, multitasking. Preferisco parlarne brevemente come poeta e soldato, separando le due dimensioni esistenziali, per evitare la trita retorica in cui si può facilmente cadere se si accetta il sintagma con il trattino.
Non capisco una certa damnatio memoriae nei confronti di questo grande personaggio italiano vissuto e operante in modo fervoroso e vibrante a cavallo tra ‘800 e ‘900, se non spiegandolo con un certo antifascismo di maniera, molto presente tra i politically correct à la Boldrini, per buona ventura scomparsa alla vista, almeno come terza carica dello Stato. In realtà, costei, come non pochi suoi noiosi sodali, desidererebbe certo far dimenticare anche D’Annunzio, come quando voleva proporre di togliere tutte le effigi e i ricordi del ventennio, quasi fossero deteriori manifestazioni di una minoranza orribile, mentre invece sono stati fatti e sono ricordi della Storia d’Italia.
Tra queste memorie del tempo D’Annunzio è importantissimo e assolutamente non ascrivibile tout court al fascismo. Chi ha studiato almeno un po’ la sua biografia e la sua opera letteraria e militar-patriottica, dovrà ammettere che, piuttosto, la sua personalità e i suoi comportamenti possono ricordare un profilo di anarchico-individualista, forse di destra, ma non fascista. Chi ha anche studiato un poco il rapporto, quasi sempre conflittuale, tra il Poeta e Mussolini, si è accorto che Mussolini ne temeva il talento, la straordinaria capacità letteraria, il fascino carismatico, e anche il coraggio fisico: basti in proposito ricordare il suo volo su Vienna e altre pericolosissime imprese aviatorie, la perdita di un occhio, tali da meritargli, prima il grado di colonnello e poi di generale di brigata aerea, e medaglia d’oro al valor militare. Che lui abbia approfittato con Mussolini di queste sue qualità accertate, è indubbio, al punto che il Duce lo lasciò fare, finanziandogli il Vittoriale di Gardone, con tutti i suoi arredi, strutture e giardini, splendidamente assortiti, da visitare. Mussolini era geloso di qualità che anche lui possedeva in quantità: l’eloquenza, ad esempio, ma D’Annunzio gli era superiore; l’abilità scrittoria, ché Benito era un grande giornalista, ma D’Annunzio gli era superiore.
Peraltro su Mussolini, dopo le ricerche del professor De Felice, vi è da ricordare quanto disse Massimo D’Alema, quando era uno statista, che il Duce doveva essere processato, non fucilato per le vie brevi a Giulino di Mezzegra, come ordinato da Luigi Longo, Sandro Pertini e Leo Valiani, capi del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia, e in sovrappiù colà morì falciata dal mitra di Walter Audisio o di un altro non importa, la signora Clara Petacci. Un abominio. E io, da socialista eterno, in questo caso sono d’accordo con D’Alema, che in queste ultime elezioni, ha mostrato più dignità di Bersani, Grasso, Boldrini e altri, facendosi non-eleggere a casa sua, a Gallipoli.
Tornando al Pescarese, fatti studi di lettere oltremodo irregolari, divenne rapidamente un punto di riferimento culturale con i suoi romanzi, tra i quali, a parer mio da leggere sono Forse che sì, forse che no, di un erotismo purissimo, Il piacere, Il fuoco, tragedie come La figlia di Iorio e La fiaccola sotto il moggio e, tra le raccolte poetiche, il meraviglioso volume intitolato Alcyone, edito da Mondadori, dove, mio gentile lettore, trovi la stupenda Pioggia nel pineto, musica pura, al livello del miglior Wagner lirico, nota a parecchi liceali e non solo. Era anche un donnaiolo impenitente e quasi compulsivo, ma sappiamo che la lussuria è il meno grave dei peccati o vizi capitali, e il meno dannoso.
E come dimenticare l’avventura di Fiume, bombardata da re Vittorio che mandò nella rada la corazzata Andrea Doria: Italiani contro Italiani. D’Annunzio era convinto che il Trattato di Versailles avesse tradito l’Italia, negandole la Dalmazia e l’Istria: secondo lui era stata una vittoria mutilata quella del Piave e di Vittorio Veneto, quella del 4 Novembre.
Io penso se ne possa discutere e anche in parte convenire in tema con questo strano, rabescato personaggio, pieno di talento italiano purissimo, altro che fascista.
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