In verità, in verità vi dico…
E’ uno degli incipit tipici che si trovano nei vangeli canonici, quando lo scrittore riferisce un racconto gesuano, detti (i loghia) o parabole del Maestro: “In verità, in verità vi dico…”.
31 Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. 32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. 41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. 42 Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; 43 ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. 44 Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? 45 Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. 46 E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna». (Matteo, 25, 31-46)
Il Maestro di Nazaret paragona l’agire umano verso il prossimo a un agire verso Dio stesso, declinando l’amore per Dio come amore del prossimo. E’ qui che nasce l’endiadi imprescindibile tra le due dimensioni: in altre parole non è possibile dichiarare di amare Dio senza amare il prossimo, pena la falsificazione suprema della coscienza morale, della verità delle cose, poiché non si può dichiarare di credere in Dio e di amarlo, denegando al prossimo nostro valore e dignità pari alla nostra stessa vita. Lo specchio del volto di Dio è il volto dell’uomo, è il volto dell’altro (cf. Lèvinas), è il vedersi-visto-di-Dio.
Sono stato alla messa, una liturgia per ricordare Sante, papà del mio amico Fabio, dove il parroco ha presentato un’omelia delicata e mai banale e una figlia di Sante, sorella di Fabio, ha pregato, ricordando il padre. Mi è dispiaciuto non poter accompagnare Sante e i suoi cari fino al giardino del riposo, ma in spirito, viaggiando verso un’azienda molto importante che seguo, ho pensato a loro, ho pensato al passaggio, al transito, al suo, al nostro, che individualmente toccherà a ciascuno, caro lettore. E non toccar ferro o altro di più carnoso, sempre mio caro lettore, quia natura vincit, sed vita vincit, sed mors venit ad novam vitam. Credo.
Forestiero, malato, affamato, assetato, carcerato mi avete soccorso, dice il “re”, che è Dio stesso ed è ognuno di noi, ché ognuno di noi è “re” in quanto essere umano unico, e irriducibile anima incarnata, oppure forestiero, malato, affamato, assetato, carcerato non mi avete neppure visto e sono rimasto solo, nel silenzio e nella dimenticanza, come se non fossi neppure esistito.
Il sacerdote ha spiegato che Sante, invece, si accorgeva, eccome, di chi incontrava, ed era di questi curioso, non di una curiosità morbosa, bensì fraterna, con lo sguardo limpido e buono, ed era sempre pronto al soccorso, perché accorgendosi, correggeva il torto e il malanno, sapendo che l’atto di carità era innanzitutto un riconoscere nell’altro semplicemente se stesso, come in un’esperienza speculare, che avrebbe potuto essere vissuta a parti rovesciate.
E io sono in grado di aggiungere alle parole del celebrante, che il pezzo di corteccia è caduto vicino al ceppo. Conosco da anni il figlio di Sante e mi è grato dire queste parole, scrivendole. Fabio sa bene che la mia riflessione è sempre, metodicamente, lontana da ogni forma di piaggeria e di calcolata convenienza, ché la vita val la pena di vivere se essa dialoga con la verità e con la libertà del dire, la greca parresìa, anche quando è spiacevole.
La franchezza del nostro decennale rapporto è il carattere di un’amicizia e di una colleganza vera, là dove in libertà ci si dice le cose e, siccome la mia seniorità oggettiva il consente, Fabio mi interpella con sincera accoglienza dell’opinione mia su di lui e sul suo agire, nel rispetto e nell’ascolto, nel confronto e nella condivisione delle cose da fare, sempre discusse con pacato fervore. E io lui.
Insieme, in questi anni abbiamo fatto cose aziendali, alcune gradevoli e grate, altre dure da proporre perché connotate da scelte di peso sulle vite di altre persone circa le cui dimensioni pubbliche e lavorative avevamo e abbiamo voce. L’abbiamo fatto insieme, con spirito solidale e rispetto dei volti degli altri, di tutti i volti, senza privilegiar alcuno, ma con spirito di umana giustizia, e perciò stesso imperfetta. Accorgendoci dell’imperfezione l’abbiamo corretta, scusandoci ed emendandoci.
Caro Sante, anche se non ti ho conosciuto, se l’albero si riconosce dalle foglie che gli cadono attorno quando viene l’autunno, e le gemme producono fiori e frutti quando viene la buona stagione, foglie, fiori e frutti sono riconoscibili in chi hai generato, e tu lo puoi vedere dalla beatitudine da dove sorridi ai tuoi cari.
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