Le “conte” di Remigio e le stupidaggini dei giornalisti
Remigio viene con me in piscina a fare ginnastica antalgica. Lui deve essere più o meno sull’ottantina, massiccio, muscoloso, come deve essere uno che ha lavorato per quarant’anni nei manufatti di cemento. Alto forse un metro e settanta pesa novanta chili di forza pura. Niente grasso. Quadrato.
Parla quel veneto che è tipico dei confini con il Friuli storico, quello che si aggancia al friulano di Pasolini. E racconta racconta, forbito di parole essenziali, spesso onomatopeiche.
Remigio ha nell’aia oltre un centinaio di animali, fra pollame, conigli, oche, anatre, un’asinella e un maiale, che tiene in amicizia e non uccide personalmente. A quest’uopo ha uno stuolo di amici che provvedono alla bisogna. Lui non vuole né ammazzare né veder ammazzare gli animali. Quando gli racconto che io, come rito di passaggio, a ventidue anni, uccisi un maiale con un fucile, fulminandolo con un sol colpo, ha un moto a mezzo tra la paura e l’orrore.
Mi dice che l’asinella e il maiale dormono insieme e sembra dialoghino, in amicizia, e di questo si bea nel suo bucolico agreste angolo della campagna.
Remigio ama parlare anche dei decenni passati al lavoro, dove godeva della fiducia e dell’amicizia dei “paroni”. Là si sentiva a casa sua, nella ditta dove passava dieci ore al giorno, dove “contava”, forte della sua passione aziendale, che oggi nei testi di gestione del personale si chiama “commitment”, solito anglicismo alla moda. Noi Italiani siamo esterofili, forse connotati da complessi di inferiorità consolidati nei secoli. E pensare che l’Impero romano è di qui, il Rinascimento è di qui, Dante e Michelangelo sono di qui.
Ma che commitment e commitment! Diciamo passione, quella che Remigio ha sempre provato per la Ditta, per gli Animali che gli riempiono il cortile e la vita, per la Vita.
Tra le “conte” di Remigio e quelle di insigni giornalisti, scelgo le prima, non solo perché sono più interessanti narrativamente, ma anche perché sono più veritiere.
Un esempio? Stamani l’insigne Massimo Giannini, direttore non so di quale quotidiano titola (o fa titolare) il suo pezzo sulla situazione idrogeologica italiana “Annuncio di un’apocalisse futura”. Due errori, uno concettuale e l’altro filologico-etimologico: parlare di “annuncio” è come dire che qualcosa accadrà di nuovo, quasi necessariamente (ed è ciò che gli inglesi chiamano wishful thinking, cioè “profezia che si auto-avvera”); usare il termine “apocalisse” in luogo di “catastrofe” significa non conoscerne il significato, poiché, come è noto non solo a grecisti di chiara fama, “apocalisse” significa “rivelazione” e non “catastrofe”. Penso di avere scritto e spiegato questo almeno un centinaio di volte nei miei scritti e detti pubblici, che evidentemente non arrivano a questi culti signori.
Viva Remigio, e abbasso gli illustri signori della cronaca imprecisa e sciatta, là dove l’allure fa il paio con la noia, trista inimica dei giorni, da rifuggire con cura, magari nel rifugio delle conte di Remigio da Marignana, Friuli.
Post correlati
0 Comments