Ciò che accade e come viene raccontato, tra comunicazione e mistificazione
Un tempo le notizie dei fatti accaduti viaggiavano lente, a velocità di cavallo o di diligenza. Per sapere che nel 64 d. C. Roma stava bruciando, ai confini dell’impero la notizia arrivava in non meno di tre settimane, indirizzata magari all’ultimo procuratore di Bitinia, Plinio il Giovane. Per sapere a Roma che Felice Orsini aveva gettato una bomba sulla carrozza di Napoleone III per strada a Parigi per ammazzarlo nel 1858, occorrevano forse almeno tre giorni.
Con l’invenzione del telegrafo (1844), la notizia della battaglia di Little Big Horn (1876), dove I Sioux Lakota di Sitting Bull, i Cheyenne e gli Arapaho avevano sbaragliato le cinquecento giacche azzurre del generale Custer, arrivò a Washington in poche ore.
Dal 1871 (Meucci) / 1878 (Bell) con l’invenzione del telefono, sempre posto che fosse disponibile un apparecchio e una linea, si è potuto telefonare molto velocemente informando gente molto distante su notizie di tutti i generi.
Saltando i progressi e la velocizzazione della prima metà del XX secolo, arriviamo al web e alla comunicazione in tempo reale di questi tempi.
Oggi la cosa accade e la puoi vedere in contemporanea, mentre accade: tipo l’assalto del 6 gennaio a Capitol Hill.
E i giornali ogni santo giorno devono riempire decine di colonne scritte sulle ultime di ieri e sulle presupposizioni per oggi.
Un esempio: il quotidiano italiano che avversa il governo Draghi, diretto dall’antipaticissimo (a me e penso a non pochi altri) Marco Travaglio, mentre invece idolatrava i “Conte 1 e 2”, ha l’arduo problema di criticare Draghi ogni momento, ogni ora, ogni giorno, berciando che somiglia al Conte 2 e che quindi non occorreva cambiare governo e premier.
E’ un tema grave, quello della comunicazione in tempo reale.
Un altro aspetto è quello della veridicità, del controllo delle fonti e della logica argomentativa. Chi mi conosce sa che non posso provare simpatia per il partito di Giorgia Meloni, ma, siccome credo in ciò che ho scritto due righe sopra, non posso non apprezzare ciò che ha detto con chiarezza, in questi giorni, sul divieto per i ristoranti, le trattorie e le osterie di offrire la cena, potendo comunque ospitare i clienti per il pranzo.
La donna politica ha detto esattamente questo, tra virgolette: “Non capisco per quel ragione non si possa cenare, magari dalle 19.30 alle 22.00, con tutte le misure applicate per pranzo. Vorrei che qualcuno me lo spiegasse scientificamente, perché proprio non riesco a trovare una ragione logica a questo divieto. Se vi sono altre ragioni che mi sfuggono, oltre al fatto che, in assoluto, vi sarebbero maggiori ragioni di contatti e dunque di potenziale contagio, ne prenderei volentieri atto, a quel punto condividendo la misura governativa“.
Devo dire, e senza dispiacere, ché la ragion logica non può generare dispiacere, soprattutto in tempi nei quali essa è negletta e spesso sostituita da chiacchiere insulse, e che condivido il ragionamento della donna citata.
Potrei anche citare un “amico”, in questo caso non mostrantesi tale, che prende per oro colato tutto quanto viene propalato da quelli come lui politicamente cogitanti e, nonostante le mie fraterne e mai cattedratiche lezioni di criteriologia, e di critica della conoscenza (o gnoseologia), continua a pensarla come gli suggeriscono i “suoi”. Nonostante sia provvisto di una prestigiosa laurea tecnica.
Ecco, questo accade: che i media sono talmente potenti da irretire, non solo chi non ha i mezzi e le conoscenze per dubitare, ma anche chi vuole essere sempre confermato nelle proprie idee, senza fare la fatica di metterle in dubbio. Peccato.
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2 Comments
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Piccolo refuso: la battaglia di Little Big Horn risale ovviamente al 1876. Ne approfitto per complimentarmi per il pezzo e per segnalare un suo notevole articolo, credo del 2009, sul Messaggero Veneto: “Pensiero analitico, sintetico e analogico in azienda” che mi sento di consigliare ai lettori del blog
Caro Giuseppe, un grazie caloroso per le sue osservazioni e anche per la segnalazione del refuso. A volte tendo a fidarmi troppo della mia memoria, per cui posso incorrere in qualche errore, ma se un lettore come lei se ne accorge… mi posso correggere (d’altra parte accorgersi e correggersi hanno la stessa etimologia “ad corrigendum”). Grazie, renato