La politica può agire comunicando con efficacia, evitando le chiacchiere
Ci sono giornalisti come Travaglio che, mentre il governo Draghi segna, evidenziando elementi distintivi suoi propri molto validi, una discontinuità radicale con il precedente, con grande disonestà intellettuale e vittima consapevole di puro istinto markettaro (per chiarire, anche se non serve, al fine di vendere più copie del suo quotidiano cartaceo), sottolinea in negativo le misure che il governo stesso deve assumere non potendo prevedere, ad esempio, l’andamento della pandemia. Infatti, ogni provvedimento di salute pubblica che qualsiasi governo può e deve prendere non può non considerare i dati oggettivi di questo Covid-19, nel loro evolversi.
Zingaretti si dimette da segretario del PD, denunciando la lotta per le poltrone nel partito che dirige, denunziando il radicalchicchismo di molti all’interno del molle partitone dessinistra, che più romano di così semmore. Attorno a lui dirigenti mediocri, a partire dal vicesegretario e dai rappresentanti della corrente ex popolare, si azzuffano. E le donne del partito non stanno a guardare in questa negatività. Tutto ciò dà uno spettacolo avvilente.
Il fatto è che in questi quasi due anni, il romanissimo politico si è appiattito su Conte senza marcare il territorio con una politica riconoscibile, mostrandosi leader mediocre. Personalmente, da un punto di vista semplicemente politico, non rimpiango alcunché della sua segreteria, senza assolutamente pensare positivamente ai suoi predecessori, e a Renzi in particolare. Mi viene chiesta un’opinione su questo partito, che dovrebbe essere la forza portante della ragionevolezza governativa e della sensibilità sociale, ma non rispondo, perché dovrei essere tranchant.
Conte & Casalino sono stati per un triennio, che spero non si ripeta sotto altre spoglie, un esempio della chiacchiera vana. Chiacchiera auto-compiaciuta. Ora il prof (chissà di quale livello) tenterà la ventura di guidare lo que resta dell’accozzaglia cinquestelluta, ma solo se lo faranno comandare tirannicamente, ha fatto capire. D’altra parte, con un comico che si candida a guidare il PD, l’avvocato foggiano può bene aspirare a guidare fuoriclasse della politica alla bonafede, lezzi, toninelli et alia animalia varia (absit iniuria verbis, quia animalia nos toti sumus, sicut Aristotelis docet!).
Altro aspetto della chiacchiera (criticata con decisiva e insuperabile acribia da Heidegger in Essere e Tempo, e da Wittgenstein nel Tractatus Logico-Philosophicus) è l’uso del linguaggio, che si declina su un arco concettuale immenso, anzi infinito, come si può dire matematicamente della distanza fra 0 e 100 (Zenone di Elea docet!).
L’esempio: il linguaggio giornalistico e politico di Benito Mussolini. Il duce è stato un grande giornalista e un grande oratore, fin dai tempi della sua direzione del l’Avanti!. Non solo era un ottimo utilizzatore della lingua italiana, ma era anche un osservatore acuto del linguaggio degli altri.
Mussolini criticava il linguaggio dei politici del suo tempo, anche dei “suoi” (i socialisti), accusandoli di insopportabile retoricità. La sua, invece, era una retorica molto accorta, debitrice consapevole della lezione di Gustave Le Bon, quello de La psicologia della folla, che Mussolini conosceva benissimo e ne traeva continua ispirazione per render i suoi interventi, orali e scritti, sempre più efficaci.
Vi è infatti da chiedersi come una quantità abnorme di menzogne sia riuscita a condizionare decine di milioni italiani per vent’anni. Altrettanto vale per Hitler, che ci riuscì per un decennio o poco più, con le conseguenze che conosciamo. Si può, però, notare una differenza: L’Italia mussoliniana era abitata da un terzo di analfabeti, mentre la Germania del III Reich non registrava quasi alcun analfabeta (o forse solamente qualche contadino disperso della boscosa Turingia o della Slesia polacca).
E oggi? Come mai i social, che sono il locus della nuova retorica criticata da Le Bon, riescono a condizionare fino alla manipolazione masse ingenti di persone, soprattutto giovani? Non è solo lo stadio (in questi mesi deserto) il moderno luogo dell’ignoranza colpevole, ma lo è di più la piazza virtuale dove chiunque può urlare le proprie ebetudini a-razionali, non documentate e, nel migliore dei casi, fuorvianti?
I social sono quasi del tutto liberi da ogni verifica, se si eccettua qualche provvedimento antirazzista, e quindi possono diffondere qualsiasi stupidaggine, inesattezza, fandonia, maldicenza, calunnia, cattivi pensieri, semplificazioni, banalizzazioni, effemeridi bufaline e altro pattume.
Il rimedio è sempre quello: l’umiltà della ricerca delle fonti, prima di aprir becco e bocca, la verifica delle fonti stesse, la fatica dell’informazione, la costanza della formazione, il parlare solo di ciò che si conosce, e sempre senza iattanza e superbia, senza la pretesa di avere in tasca madonna verità, solo così si può un poco rimediare a questa indecenza.
Ed è compito di tutti farlo, ciascuno nel suo piccolo, che diventa grande se unito a quello di tutte le persone di buona volontà
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