Perché la sinistra italiana attuale non mi piace, una sinistra i cui leader (?) si fanno “dare la linea” da un rapper… come mai avrebbero fatto Berlinguer e Craxi con Venditti e Guccini
(chiosa ex post: scrivo queste righe qualche giorno dopo la pubblicazione di questo post, in ragione di ciò che è successo al concertone sindacale del I Maggio. A un certo punto il rapper Fedez ha fatto un discorso politico sui diritti civili, naturalmente senza alcuna fondazione teorica, che da lui non si può pretendere, e tanto meno dalla pletora di suoi follower che riempie la parte centrale della gaussiana, quella dei mediocri. Detto questo, se in sostanza condivido eticamente ciò che ha sostenuto, epperò su robuste fondazioni antropologiche circa la pari dignità fra tutti gli esseri umani, ciò che mi deprime è la leadership della sinistra politica italiana che ha bisogno di dire che “ha ragione Fedez…”. Tutto qui, poveri Conte e Letta?)
Chi mi conosce sa che sono un socialista riformista classico, turatiano, nenniano e anche craxiano, per la parte nella quale Bettino rinforzò la linea gradualista e riformista del suo predecessore, il grande Pietro, non per la dimensione più cinica dei suoi atti. Salto De Martino, ma con rispetto.
Essere socialisti riformisti significa essere molto distanti dai comunisti. La dico così, semplicemente, anche se qualcuno potrebbe pensare che, tutto sommato, la distanza non sia così importante. Invece no, è quasi siderale, soprattutto dal punto di vista filosofico-antropologico. Sotto questo profilo, il comunismo privilegia la massa alla persona, il socialismo no, specialmente quello umanistico, che proviene dritto dritto dal cristianesimo evangelico.
Secondo una vulgata diffusa, attualmente la mia “casa politica” dovrebbe essere il Partito democratico, oggi guidato da Enrico Letta, ma non è così. Né posso ritrovarmi nel micro-partitino di Nencini e Bobo Craxi. E’ ovvio che, a maggior ragione, non mi trovo nelle aree di centro tipo Forza Italia, che tanti ex PSI hanno scelto da poco meno di trent’anni.
Mi spiego: fino a Tangentopoli le linee politiche dei partiti erano chiarissime: ad esempio, era evidente a quali aree di riferimento sociale attingessero i comunisti e i socialisti, i repubblicani e i democristiani. Parlo di ciò che mi interessa qui: la sinistra di allora faceva ancora riferimento alle classi lavoratrici e anche ai lavoratori intellettuali. Molti comunisti e socialisti erano insegnanti, docenti e ricercatori, ma in generale non erano spocchiosi, salvo alcuni.
Con il tempo, invece, quasi la maggioranza di questi, soprattutto dopo le vicende sopra citate, che avevano salvato solo i comunisti, è diventata spocchiosa e politicamente corretta, nel contempo progressivamente abbandonando la rappresentanza dei ceti sociali che erano stati il riferimento della sinistra storica da più di un secolo, preferendo forme di rappresentanza civile che interessavano di più, e non poco, i ceti intellettuali a stipendio fisso, spesso statale, ma anche giornalisti, conduttori televisivi, etc. Un Fabio Fazio sarebbe stato impensabile, così come si esprime oggi, prima del ’90, e anche una Murgia o altri di cui dirò dopo. Bene, se costoro sono “di sinistra”, io non posso essere più di sinistra, quantomeno della loro sinistra.
Non posso essere della sinistra di un Saviano, che vive di rendita e costa allo stato fior di quattrini, oppure di un don Ciotti, che ha la faccia e i toni del falso modesto.
Non condivido la sinistra che si occupa solo di diritti civili, dimentica di quelli sociali, di quella sinistra ex-capalbiese fatta di intellettuali, scrittori di successo à la Maraini che difende la Murgia, e cineasti senza problemi di sopravvivenza.
Non condivido la sinistra educata al politicamente corretto, per cui è indispensabile usare parole come “femminicidio” per sottolineare che è stata uccisa una donna: a costoro vorrei opporre il simmetrico “maschicidio”. Ridicolo, vero? Diciamo “omicidio”, perché la derivazione dal latino homo significa “genere umano”.
Non condivido la sinistra à la Boldrini, che declina al femminile tutto quello che storicamente è al maschile, ma non per conservatorismo, ché la lingua evolve, cambia, s’adatta ai tempi. Noi parliamo l’italiano dantesco, ma con molte modificazioni generate nel tempo. Va bene, è per ragioni estetico-fonetiche che preferisco sindaco a sindaca, ministro a ministra…
Potrei continuare citando la sinistra “apparente” dei 5Stelle: gente come Crimi e Dibattista, di che sinistra volete che siano? suvvia… E Dimaio che recita di un partito né di destra né di sinistra?
Come si fa? Destra, sinistra e centro non sono morti, ma sono cambiati, si sono adeguati ai tempi, ai nuovi raggruppamenti sociali e alle nuove culture, anche se molto male, in modo sgangherato, confuso, contraddittorio. Certamente cinquant’anni fa era più facile essere, ad esempio, “di sinistra”: stavi con gli operai, che erano lavoratori con poche o nulle garanzie, specialmente prima dell’emanazione dello Statuto dei Diritti dei lavoratori (20 maggio 1970).
Quelle erano classi con milioni di facenti-parte: venti milioni di operai, tre milioni di pubblici dipendenti, un milione di insegnanti, due milioni di gente dei campi… trenta milioni di casalinghe. Tutto chiaro e nitido. Eri di sinistra più o meno se eri operaio, e di destra più o meno se possidente, industriale, alto dirigente pubblico o privato, borghese, o anche, ma solo un po’, di centro. Gaber ironizzava sulle tre posizioni politiche in modo memorabile: di sinistra la doccia, di destra il bagno in vasca; di sinistra o di destra o di centro a seconda delle abitudini personali…
Oggi, per me stare a sinistra è essere democratico-parlamentare, per un welfare equilibrato e giusto, per una cultura diffusa e una scuola-università accessibili a tutti, una sanità gratuita e improntata alla prevenzione, per una ricerca centrale nella programmazione degli investimenti…
Essere di sinistra è non cercare sempre scuse, è essere responsabili, cioè rispondere delle proprie azioni, è delegare con criterio, è guardare l’altro come un “io”, non come un oggetto dove terminano le mie azioni e le mie parole.
Essere di sinistra significa sentirsi cittadini del mondo senza dimenticare la patria, termine negletto dalla sinistra ufficiale, lasciato stupidamente alle destre, anche le più retrive.
Essere di sinistra è molto… filosofico, anche se vi sono, eccome validi pensatori di destra, secondo lo schema storico-politico. E concludo con…
La mia patria è il mondo intero, la mia legge la libertà, come cantavano gli anarchici alla fine dell’Ottocento. Io aggiungo: la mia patria è prima di tutto l’Italia e pongo la giustizia accanto alla libertà, perché quest’ultima senza giustizia è un egoismo insensato.
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