Un sonetto o “piccolo suono” (del 2019)
Nelle vuote profondità del tempo/ Nascono stelle, destini e sentimenti,/ Il vento va e poi ritorna lento/ Per valli antiche corse dagli armenti.
Ricordo volti antichi d’altre ere/ Di giorni e viaggi e sguardi sconfinati,/ Ricordo cieli e lente primavere/ Altri recinti, palizzate e prati.
Il vento va e poi ritorna ancora,/ Senza requie pensieri si rifanno,/ Un dolore rinasce nell’aurora.
Vince la vita come sempre al mondo/ Lo Spirito che soffia dove vuole/ Ti dona libertà anche se duole.
Dopo oltre un decennio, un paio di anni fa mi esercitai di nuovo nello scrivere un sonetto “classico”: quattordici endecasillabi (undici sillabe per ogni verso) suddivisi in due strofe di quattro versi e due strofe di tre versi. Ispiratori miei, di questo modello poetico, che ti obbliga a “stare dentro” a una cornice obbligatoria, Francesco Petrarca e Ugo Foscolo, umilmente. Con Gabriele D’Annunzio, forse, sullo sfondo, che non capisco perché qualcuno lo stia definendo “cattivo poeta”. Forse per ideologismi stupidi da politically correct.
Il sonetto è un componimento poetico caratteristico del modello italiano di letteratura. La sua denominazione deriva dal lemma sonet, che è provenzale (cioè, piccolo suono).
Non so se questa lirica resterà nel tempo. Ne ho scritte altre, anche in forma di sonetto (forse una decina), e le ho pubblicate dal 1998 al 2017, in tre libri: il primo (e più noto) è La cerchia delle montagne, il secondo si intitola In transitu meo, il terzo Il canto concorde (del trovatore inesistente).
Solo poche parole per dare una spiegazione ai tre titoli: la prima raccolta evoca il paesaggio che, dal Montello al Carso, si offre al viandante che giunge in Friuli, che è da sempre il mio paesaggio interiore; i vari testi rappresentano la mia vita e il suo rapporto con il mondo, fin dagli anni della mia giovinezza; la seconda ha a che fare con le mie riflessioni sulla vita, sull’ineluttabile transìre dei nostri giorni, dalla nascita all’ultimo; ricomprende antologicamente alcuni testi già pubblicati nel primo volume e tratta alcune mie cesure esistenziali forti; la terza si mette davanti alla mia vita attuale, ai detti e ai non-detti, all’evidenza e al mistero, a ciò-che-appare e a ciò-che-è, quand’anche non coincidono, ovvero non corrispondono del tutto… e qui mi fermo.
La poesia si intride di misteriose fessurazioni dell’essere, si muove per meandri sconosciuti alla narrazione in prosa e a quella filosofica, si trattiene per pochi attimi ai confini di ciò che è scritto in quanto espressioni volute e trasformate, dal pensiero al segno grafico. La poesia è onomatopea dell’anima, che abbisogna di utilizzare segni comuni ad altre arti, lemmi, interpunzioni, scansioni proposizionali, ritmi, suoni, ma in un modo assolutamente diverso da ogni altro ambiente scrittorio.
Due sonetti, “Sentiero Rilke” e “Mi sono familiari i lupi scuri” mi valsero anche due Premi nazionali: nel 2002 il Premio Rai 1 Zapping, e nel 2007 il Premio nazionale dedicato al padre David Maria Turoldo.
Questo sonetto potrebbe essere inserito ex post in qualsiasi delle mie tre raccolte, perché ha a che fare con la quotidianità del vissuto, con l’unicità di ciascuno di noi, con l’irripetibile fluire del nostro essere-nel-mondo.
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