Il valore di una vita operaia secondo un’Etica del Fine
Se si condivide che la struttura di persona possa spiegare e attestare con i suoi tre elementi, fisicità, psichismo e spiritualità, che tutti gli esseri umani hanno pari dignità, il valore di una vita operaia è pari a quella del Capo del governo e del Presidente della Repubblica italiana, o di qualsiasi altra Nazione del mondo, USA, Cina e Russia comprese. Come quella del grande imprenditore e quella dell’attore o del calciatore carismatico da 100 milioni di euro l’anno.
Uguale. Ma il concetto di questa pari dignità non pare condiviso. Lo attestano i fatti, come l’ultimo di Torino, dove una enorme gru è caduta sui palazzi, sono morti tre operai, ma avrebbero potuto essere colpiti mortalmente anche passanti e abitanti dei palazzi sui cui la grande struttura metallica si è abbattuta.
In Italia è dalla metà degli anni ’50 che la legislazione si occupa della sicurezza del lavoro. Nel 1955 fu emanato il Decreto 547 sull’antinfortunistica e nel 1956 il Decreto 303 sull’igiene del lavoro.
Lo spirito di quei legislatori era improntato a due sentimenti e intendimenti: a) la necessità di rendere più sicuro il lavoro di una classe operaia che stava rimettendo in piedi l’Italia dopo le distruzioni tragiche della Seconda Guerra mondiale, e b) la fiducia che una normativa dettagliata e perfino pedante potesse non solo ridurre infortuni e malattie professionali, ma addirittura avvicinarli a zero.
Dovettero passare una trentina di anni prima che ci si accorgesse che in quella legislazione mancava il ruolo delle persone al lavoro. Già nel ’70, lo Statuto dei diritti dei lavoratori (Legge 300) all’articolo 9 ricordava la centralità della tutela della salute psicofisica del lavoratore. E’ stato con Decreto legislativo 626 del 1994 che si è compiuto un decisivo passo avanti nella tutela della sicurezza sul lavoro.
L’introduzione delle figure preposte, a partire da una responsabilizzazione del Datore di lavoro per la sicurezza, del Medico competente e del Procuratore della sicurezza, hanno contribuito a una significativa riduzione di infortuni e malattie professionali.
Ciò fece sì che il numero di morti sul lavoro, che in una prima fase conobbe una decrescita, dal 1980 circa al 2000, da 2000 all’anno a 1000 più o meno, e si ridussero ulteriormente fino a tre o quattro anni fa, quando si è invertito negativamente il trend.
Due immani tragedie, la morte dei sette operai alla ThyssenKrupp di Torino nel 2007 e il deragliamento di un treno con scoppio di gas nel 2011 che causò 33 vittime a Viareggio, fecero capire che occorreva altro. Nel 2008 con il D.Lgs 108, migliorato nell’anno successivo, si introdussero ulteriori rinforzi nel ruolo dei preposti, e si delinearono le figure del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e del Rappresentante del Lavoratori per la Sicurezza.
Inoltre, le aziende cominciarono ad applicare la normativa dei Codici etici (D.Lgs. 231 del 2001), che posero ancora di più al centro il tema della sicurezza del lavoro, con l’attività degli Organismi di vigilanza, Uffici autonomi con poteri di sorveglianza, controllo e facoltà di suggerire migliorie e riforme organizzative, composti da persone competenti nei vari aspetti della vita aziendale.
Di tali attività, come sa il mio lettore, ho una robusta esperienza diretta, presiedendo da un decennio diversi Organismi di vigilanza in aziende di tutte le tipologie e dimensioni, nazionali e multinazionali.
Questa attività mi sta dando una conoscenza diretta del tema sotto il profilo pratico, ma ciò che desidero sottolineare è un altro aspetto, quello morale e socio-politico.
Che cosa o quanto conta una vita operaia in una cultura come l’attuale? Ho l’impressione che conti pochino, per i più, perché, una volta svanito lo stupore e la partecipazione al dolore iniziale da parte di un pubblico facilmente distraibile, poi succede poco o nulla.
Scontati sono gli alti lai della politica, più o meno bipartizan, la cantilena presidenziale, sempre più afona, mentre poco o nulla cambia. Certamente la richiesta sindacale di aumentare i controlli è doverosa, ma ciò che deve veramente cambiare è l’approccio di valore al tema.
Una categoria che non porta alcun valore a questo dibattito è, in generale, quella dei giornalisti di ogni genere e specie. Così come stanno facendo, in generale, quando parlano della pandemia, invece di contribuire a chiarificare temi e situazioni, fanno il contrario: parlano in maniera spesso disinformante e sgangherata dei vari temi, enfatizzando i titoli e di fatto danneggiando il diritto di informazione del pubblico.
Questa categoria di professionisti che vivono essenzialmente di luce riflessa, salvo molto rare eccezioni, perché hanno un ruolo e si mostrano solo se succede qualcosa, dovrebbero rendersi conto dell’importanza di moderare i toni, di precisare detti e scritti, di non approfittare dei fatti.
E poi abbiamo una nuova altra categoria di divi dei media, i virologi, tra altre categorie mediche e biologiche, che fanno a gara nell’esercizio dello stupimento pubblico, se posso usare questo quasi-neologismo.
Una vita operaia ha moralmente un valore infinito, come qualsiasi altra vita, ma questo concetto dovrebbe essere introiettato da tutti, per cui non c’è valore superiore cui sacrificarla: non il reddito purchessia, non la velocità di esecuzione di un lavoro, non l’accesso a un finanziamento solo se si fa in fretta, nulla.
Non si può eticamente sacrificare una persona sull’altare del Moloch/ Mammona, come lo chiama la Bibbia e Carlo Marx nel Capitale, che è il denaro-come-fine. Il denaro, il guadagno è mezzo, non fine: Immanuel Kant lo insegnava con forza, mentre l’uomo è fine come lo stesso gran filosofo trasmetteva a i suoi studenti e scriveva nella sua fondamentale Critica della Ragione pratica.
Leggiamolo in parafrasi: “Fai in modo che la massima del tuo agire possa costituire legislazione universale” e “Fai in modo che l’uomo sia sempre un fine del tuo agire, mai un mezzo“.
E Tommaso d’Aquino: “Occorre tenere conto sempre della scelta per il bene maggiore e per il male minore“, che significa esattamente la superiorità della vita umana su ogni tipo di guadagno economico.
Ecco, l’insegnamento della sana filosofia classica, che anche molti filosofi del nostro tempo, soprattutto i più mediatici, dovrebbero non mai dimenticare.
E questo lo affermo con forza perseverante, come persona, come filosofo e teologo, e anche come Presidente nazionale di Phronesis, l’Associazione Nazionale per la Consulenza Filosofica.
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