Ci fossero oggi tra noi un Leopardi o un Pasolini: gli intellettuali zoppicanti, e un Papa che resiste – abbastanza in solitudine – nella trincea contro l’ovvio e il “politicamente corretto”
Cosa dice il Papa a un cattolico Lgbt «che ha subito un rifiuto dalla Chiesa»? Francesco risponde: «Vorrei che lo riconoscessero non come ’il rifiuto della Chiesa’, ma piuttosto di ’persone nella Chiesa’. La Chiesa è madre e chiama insieme tutti i suoi figli. Prendiamo ad esempio la parabola degli invitati alla festa: ’i giusti, i peccatori, i ricchi e i poveri, etc’. (Matteo 22:1-15; Luca 14:15-24). Una Chiesa ’selettiva’, di ’sangue puro’, non è la Santa Madre Chiesa, ma piuttosto una setta».
Questa la risposta (scritta) di Bergoglio a tre domande del padre gesuita americano James Martin riguardanti i cattolici Lgbt. Nel 2013, a una domanda analoga ebbe a rispondere “Chi sono io per giudicare?”
Francesco rivolge spesso espressioni di apertura verso i diritti gay. Un altro esempio: lo scorso gennaio 2022 ebbe a dire ai genitori di ragazzi omosessuali: «Mai condannare un figlio». Ancora nel 2013 affermò: «Non si devono discriminare o emarginare queste persone, lo dice anche il Catechismo. Il problema per la Chiesa non è la tendenza. Sono fratelli. Quando uno si trova perso così va aiutato, e si deve distinguere se è una persona per bene».
Facciamoci aiutare da alcuni passi scritturistici, da Matteo 22, 1-15 e poi da Luca 14, 15-24.
Dal Vangelo secondo Matteo 22,1-14
“In quel tempo, Gesù riprese a parlare in parabole ai capi dei sacerdoti e agli anziani e disse: “Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. E disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.
Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì.
Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti“.
Nel passo proposto, Matteo e Luca rappresentano il mondo e il contesto socio-politico del loro tempo. Nelle prime comunità cristiane vi era il grave problema della convivenza tra i giudei convertiti ed i pagani convertiti. I primi conservavano regole del Primo testamento che li vincolavano, mentre i secondi, i “convertiti”, no. I primi evitavano addirittura di condividere la tavola dei convivi con un pagano. Ricordiamo ad esempio il racconto là dove si narra che l’apostolo entro nella casa del centurione romano e pagano Cornelio, e perciò fu rimproverato (cf Atti 11, 3).
Anche nelle comunità di Luca e di Matteo accadeva altrettanto.
Il racconto propone la storia di un padrone che dà una gran festa alla quale invita persone di tutti i generi e categorie del popolo, ma non arriva nessuno. E allora il padrone manda a chiamare gli storpi, i ciechi e i poveri.
C’è ancora posto, però, e allora vengono invitati tutti, buoni e cattivi, senza distinzione morale. Leggiamo questo passo del Vangelo secondo Luca.
(14, 15-24): “(…) Gesù gli disse: Un uomo preparò una gran cena e invitò molti; e all’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, perché tutto è già pronto. Tutti insieme cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: Ho comprato un campo e ho necessità di andarlo a vedere; ti prego di scusarmi. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi. Un altro disse: Ho preso moglie, e perciò non posso venire. Il servo tornò e riferì queste cose al suo signore. Allora il padrone di casa si adirò e disse al suo servo: Va’ presto per le piazze e per le vie della città, e conduci qua poveri, storpi, ciechi e zoppi. Poi il servo disse: Signore, si è fatto come hai comandato e c’è ancora posto. Il signore disse al servo: Va’ fuori per le strade e lungo le siepi e costringili a entrare, affinché la mia casa sia piena. Perché io vi dico che nessuno di quegli uomini che erano stati invitati, assaggerà la mia cena.”
Che pensare di questo strano racconto? Sappiamo che spesso le parole di Gesù sono stranianti, inaspettate, sorprendenti per il comune sentire, sia del suo tempo, sia dei nostri tempi.
Gesù non è “ascrivibile” – mai – a una teoria socio-politica, così come molti amerebbero fare. Gesù non è politicamente “socialista” (secondo lo schema post Rivoluzione Francese), ma è “iper-socialista” secondo lo spirito di giustizia: ciò significa che il suo dire non fa parte della dottrina politica, ma del suo modo di essere-persona tra le persone, che non trascura mai, qualsiasi sia la persona. Zaccheo è un uomo ricco di Gerico (cf. Luca, 19), ma va a casa sua.
Tra la folla si accorge della prostituta e la considera, quando questa sta per essere messa a morte. La salva non con un atto politico o giuridico diretto, ma con la convocazione della coscienza degli astanti: “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, e gli astanti, che recitano la parte dei fedeli ligi alla Legge, se ne vanno con la coda tra le gambe. Perché Gesù è capace di svelare i veri intendimenti di ciascuno, andando oltre le dichiarazioni, in buona o cattiva fede che siano.
Gesù “convoca” la nostra coscienza non badando al nostro stato sociale, al nostro reddito, alla nostra ISEE, egli convoca tutte le coscienze, di poveri e ricchi, di imbroglioni e virtuosi, di coraggiosi e tremebondi, senza badare alla etichetta che la società attribuisce a ciascuno, per cui la politica si adegua a un tanto.
Gesù non ha un elettorato cui rispondere, non soffre di contraddizioni in seno al popolo (cf Mao Ze Dong in diversi Discorsi al Partito, Pechino 1960), non deve preoccuparsi di maggiorane e minoranze, non è democratico e non è autocratico, non è monarchico né repubblicano, non è di destra né di sinistra.
Gesù è per l’uomo totale, per tutti gli esseri umani, maschi e femmine, di qualsiasi orientamento sessuale, che però non sia determinato dalla legge, ma da questa sia semplicemente tutelato.
E’ per questo che, quando constato che qualche buon cristiano, prete o laico che sia, non riesce a vedere questo universalismo assoluto dell’Uomo di Nazaret, del Rabbi itinerante, povero ma ricco, del Figlio di Dio-Trinità, mi inquieto, e non aderisco ai peana glorificatori di chi invece preferisce assegnare Gesù a una parte politica.
La scelta per i poveri è più ampia di quella che viene fraintesa come riferimento socio-economico, perché riguarda le povertà più grandi, cioè quelle dello spirito, abbondantemente presenti sia nei poveri sia nei ricchi.
Sulle sue tracce, nel mio piccolo, se posso do una mano a poveri e ricchi quando sono poveri nel profondo mistero della loro interiorità, perché tristi, sostanzialmente soli.
(Nel titolo ho citato Giacomo Leopardi e Pierpaolo Pasolini, perché li sento affini a questa visione del mondo)
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