Il gesto di Jonas Vingegaard che aspetta Pogacar caduto in discesa sui Pirenei al Tour de France, è simbolo di una nobiltà d’animo e intelligenza delle cose di cui è priva larga parte della politica italiana, che invece di occuparsi della crisi idrica, climatica, energetica, delle bollette (Salvini la smetta di ululare inutilmente alla luna! poteva tenere su il Governo, invece di contribuire ad abbatterlo), riesce a nauseare un galantuomo competente come Draghi, che non può accettare la sciatteria, le falsità, le vigliaccate e le sgarberie di contiani e destre, mentre anche la sinistra, il PD, sbaglia completamente bersaglio (che si dice “awon”, in ebraico, il cui primo significato è “peccato”), distraendo forze e attenzioni su cose intempestive, di questi tempi, come DDL Zan, Cannabis e Jus schola, in tempo di guerra! Sperando che non abbiano favorito le operazioni anti-Draghi, sia pure indirettamente. Sciocchi!
Vingegaard è un grande corridore danese, filiforme, tutto nervi, fibre muscolari rosse, tipiche della fatica.
In una tappa del Tour de France di quest’anno ha mostrato la sua umanità.
La lotta per la vittoria è oramai fra lui e lo sloveno Pogacar, appena più alto di lui, magro, e più potente, vincitore dei due Tour precedenti, quelli del 2020 e del 2021.
Pogacar desidera vincere anche questo Tour, ma pare non sarà possibile, perché Vingegaard in questa corsa è più forte di lui, soprattutto in salita, e con una squadra migliore.
In una discesa tra le tante, dove il pericolo di caduta è sempre in agguato, al sempre aggressivo sloveno parte la ruota posteriore sul ghiaino, la bici si piega, lui cade sul fianco sinistro, gratta la coscia e riprende in un amen, quasi rimbalzando in sella.
Nel frattempo il suo avversario è sparito alla vista. In discesa si va dai settanta ai novanta chilometri orari.
Pogacar è in affanno, perché ha già un cospicuo ritardo di oltre due minuti dal danese, che glieli ha rifilati sul Col du Granon sulle Alpi. Dovrebbe recuperare, ma ora rischia di perdere ancora.
Lo sloveno si lancia alla disperata, una curva e un rettilineo, un’altra curva e un rettilineo, un’altra curva e… ecco che in lontananza si staglia un omino con la maglia gialla.
Il danese lo ha aspettato, come avversario caduto. Lo ha atteso per riprendere assieme la tenzone meravigliosa della fatica e del sudore.
Per un attimo a Pogacar pare sia un miraggio, ma Vingegaard guarda indietro, gli fa un cenno con la testa, e sembra dirgli “andiamo”. Lo sloveno arriva a fianco dell’avversario e gli porge la mano con un sorriso. E vanno, rallentando un po’ al punto che vengono raggiunti dagli inseguitori. Ma per poco.
Più avanti la corsa torna dura, Pogacar, dopo i tanti attacchi non ne ha più, ma Vingegaard invece sì, perché a tre chilometri dall’arrivo sull’ultima salita se ne va e vince. Senza esaltarsi perché anche lui è stanchissimo.
Mi sono però chiesto: Pogacar avrebbe fatto altrettanto se si fosse trovato al posto di Vingegaard?
Nutro qualche dubbio.
Sotto il profilo dell’etica sportiva, il gesto di Vingegaard richiama il misterioso passaggio della borraccia tra Gino e Fausto sul Galibier in un Tour di tant’anni fa.
Ultima osservazione: a fronte dell’infimo livello della politica italiana attuale, se penso al gesto di Vingegaard, mi viene da paragonarlo come atto di nobiltà a quella miseria culturale e morale.
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