Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

La Lega salviniana sta – di fatto – tentando di abolire il “il”, il “la” e anche altri articoli determinativi

Ha cominciato Salvini con il dire “settimana prossima faremo, riuniremo…”. E ora sento anche le sue seguaci (tra cui una bella donna whose name is… Isabella Tovaglieri) che iniziano i discorsi con i sostantivi senza articoli, come in inglese (next week), come nelle lingue slave e come in latino.

In latino si può e si deve dire “mensis proxima“, oppure “humana mens“, cioè “il mese prossimo“, o “la mente umana” ma in italiano serve l’articolo “il” o “la”, perdio!

Che conoscano il serbo-croato, l’inglese e il latino? Dubito fortemente, ooh come dubito che conoscano quelle lingue!

Penso piuttosto che si tratti di fretta e di trascuratezza. Non voglio pensare che si tratti di una decisione linguistica, perché li farei troppo intelligenti e colti. Non può essere.

Ovviamente mi opporrò con tutte le mie forze, con l’aiuto di persone competenti come mia figlia e altre persone di buona volontà.

E’ solo un esempio del declino della lingua italiana parlata, in Italia. Qualche giorno fa è mancato in modo drammatico il professor Luca Serianni, che ha dedicato tutta la sua vita allo studio dell’italiano, in un quadro di linguistica evolutiva, ma sempre rispettosa della tradizione, che la rende ricchissima di strutture semantiche e grammaticali capaci di raccontare ogni cosa e di rappresentare ogni stato d’animo, come attestano i testi grandi della nostra letteratura e della saggistica, ma anche il migliore giornalismo.

Il suo ricordo, e il suo lavoro come quello di altri studiosi come Tullio De Mauro, costituiscono una barriera potente contro la banalizzazione linguistica e la sua deriva semplificatoria e fomite di confusione e annoiamento: basti pensare alla oramai notissima crisi del modo congiuntivo, che spero sia ora abbastanza contrastata, se non ancora vinta, con il rilancio di questo meraviglioso costrutto grammaticale, che riesce a comunicare il dubbio nel pensiero umano, le ipotesi cogitative ed esecutive, le condizionalità dell’agire stesso, dell’uomo.

Il modo congiuntivo è il modo filosofico per eccellenza. Meraviglioso!

Il congiuntivo deriva dal latino e dal greco, e si conserva benissimo nelle lingue romanze, ma ha qualche indebolimento nell’inglese, per cui, più questa nuova koinè diventa pervasiva, anche in situazioni espressive nelle quali l’italiano funzionerebbe altrettanto egregiamente dell’inglese, come in un caso qualsiasi come “flash meeting” che può dirsi con un uso pari di lettere, se il problema è quello della celerità comunicazionale, con il sintagma “riunione breve”.

A volte, però, ho come l’impressione che questo uso massivo di espressioni inglesi, “faccia molto figo”, e soprattutto si pensi che dia (ecco due congiuntivi consecutivi!) un’immagine più evoluta e colta. Ma non è così, perché parlare inglese e sopprimere gli articoli determinativi e sostituire il congiuntivo con il modo indicativo, è piuttosto segno di ignoranza (di ritorno).

Nelle aziende, che sono sempre più connesse con il mondo, è plausibile l’uso dell’inglese come idioma unificante, ma trovo assurdo ed esterofilo, e perfino segno di una sorta di debolezza antropologica e di inferioriy complex (ecco che quando è preferibile, in questo caso per l’universalità dell’uso del Manuale Medico diagnostico per le malattie mentali, che è di matrice anglosassone, utilizzo anch’io l’inglese), che si usi in Italia tra Italiani, quando si potrebbe tranquillamente, come nel caso di cui sopra, utilizzare l’italiano.

Un fatto ancora più grave si registra nel mondo accademico, dove, oltre alla necessaria richiesta di sempre più vaste competenze linguistiche (perché la ricerca scientifica si confronta e lavora sempre a livello internazionale), per cui la conoscenza dell’inglese e di un’altra lingua di vasta diffusione ed utilizzo è non solo opportuna, ma necessaria, si sta diffondendo fino a prevalere in alcune situazioni, l’insegnamento in inglese, perfino della storia della letteratura o della grammatica italiana.

Per me, in questo caso, si tratta di pura imbecillità e di istinto gregario degli italiani. Penso che molta insipienza si trovi nelle direzioni ministeriali e negli uffici legislativi, dove neolaureati che non hanno studiato “almeno” il latino, scrivono le regole e ritengono di modernizzare l’Italia devastando la lingua italiana con normative imbecilli e auto-frustranti.

Vedi, caro lettore, come la trascuratezza nell’uso della lingua italiana che caratterizza molta politica e comunicazione sociale, come più sopra mostrato, oltre a certe scelte accademiche e del sistema economico, stiano mettendo a repentaglio, non solo la lingua nostra, ma la cultura immensa, il modo di raccontare la nostra storia possente, i nostri beni ineguagliabili, il nostro caratteristico modo di “stare-al-mondo”.

Da Italiani, pieni di difetti, ma anche di qualità ineguagliabili.

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