La prudenza e l’imprudenza, o di come una virtù morale possa trasformarsi in un rischio per l’incolumità delle persone
Storicamente il concetto di prudenza, phrònesis in greco, prudentia in latino, è sempre stato un elemento di saggezza popolare e di riflessione filosofica.
Dal popolo minuto ai più grandi pensatori ha avuto un’attenzione somma, sia per la gestione della vita quotidiana, sia per l’esercizio del pensiero sui comportamenti umani.
Molto semplificando, posso citare Aristotele, che la studiò nel suo grande testo Etica Nicomachea, per poi passare ai Padri della Chiesa, sia i meno conosciuti come Giovanni Climaco ed Evagrio Pontico, sia i maggiori come sant’Agostino e papa Gregorio Magno, per finire con Tommaso d’Aquino che sulla prudenza trattò diffusamente nella Summa Theologiae, parte Seconda, distinguendo tra le sue varie “parti” costitutive e modalità di utilizzo nella vita di tutti i giorni.
In seguito fu oggetto di studio da parte di altri sommi pensatori come Baruch Spinoza e Immanuel Kant, che ne parlarono, rispettivamente nell’Ethica more geometrico demonstrata e nella Critica della Ragione pratica. Non aggiungo altri autori, che pure non mancano in anni contemporanei.
Siccome in questo pezzo non devo sviluppare né le dimensioni né la profondità analitica di un trattato, passo al pratico, facendo tre esempi molto attuali.
Primo esempio. E’ nota a tutti la tragica vicenda del mio giovane conterraneo Giulio Regeni, che fu ucciso in Egitto oramai sei anni e mezzo fa al Cairo in circostanze non mai chiarite. Non sto qui a recriminare e a condannare le autorità egiziane, perché lo ho già fatto più volte. Vi è però stato un aspetto che di tutta la vicenda non mi ha mai convinto: quello del ruolo della Università di Cambridge dove il bravo Giulio stava conseguendo un bel Dottorato di Ricerca in scienze sociali, e soprattutto circa il ruolo della sua tutor. Più avanti aggiungerò il commento che desidero formulare in comune sui tre casi.
Il secondo caso: da una settimana circa la signorina Alessia Piperno di Roma, mentre si trovava a Teheran in Iran, dove stava viaggiando come era solita fare spesso (i suoi spiegano che viaggiava molto, abitudine che si apprende anche dalla sua cospicua attività sui social) è stata arrestata dalla polizia speciale dei bajiji (bagigi, curioso, no?), e ora si trova da qualche parte, ospite delle patrie galere islamiche sciite.
Il terzo caso: quattro ragazzi italiani, con età dai ventuno a i ventinove anni, sono stati arrestati nella città indiana di Ahmedabad, perché trovati a dipingere le pareti del metrò a mo’ di graffitari nostrani.
Domanda, mio caro lettore: c’è un pensiero, concetto, sentimento comune tra questi tre casi? Dimanda rettorica… ebben sì, una certe dose di diversificata imprudenza, cioè di non-prudenza. Mi spiego bene.
Se mia figlia, che è più o meno coetanea del povero Giulio, alla data della sua morte, dovesse predisporre la parte sperimentale di un PhD, aggirandosi per i vicoli e i mercati di una metropoli tipo Il Cairo, intervistando ambulanti e precari, sapendo quali dinamiche si nascondono dietro questi ambienti, condite di mafiosità delatoria, anche se lei maggiorenne, mi opporrei con tutte le mie forze. Dico cose scandalose?
Sulla ragazza romana: se, sempre mia figlia volesse fare la giramondo indefessa, impegnata soprattutto nel registrare ciò che incontra e vede in giro per ogni genere e specie di nazioni e paesi, non mi compiacerei come ho sentito fare dai genitori della ragazza. Ma non lavora mai questa benedetta giovine donna o vive dei like di ciò che posta?
Come si fa ad andare alle manifestazioni, non solo legittime, ma di più, doverose, che donne e uomini persiani stanno facendo da settimane per cercare di smantellare l’insopportabile teocrazia islamica che impedisce l’esercizio delle libertà fondamentali dei cittadini? Stattene da parte, non metterti in evidenza. E’ chiaro che, se ti beccano, ti arrestano, anche a fini di ricatto verso l’Italia, notoriamente amica di USA e Israele, nazioni ritenute e definite demoniache dagli ayatollah iraniani.
Da ultimo, se un mio carissimo figliuolo si mettesse a imbrattare un bene pubblico della grande nazione indiana, oltre a farlo tornare al più presto, gli somministrerei due sonori ceffoni, uno per guancia.
Io la penso in questo modo, caro lettore, su prudenza e imprudenza.
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